Campania abbazie
e monasteri
Abbazia di San Guglielmo al
Goleto
L’Abbazia si erge nel territorio dell’Irpinia, a
Sant’Angelo dei Lombardi in provincia di Avellino. Deve la sua fondazione
a san Guglielmo che nato a Vercelli nel 1085, conobbe l’Irpinia durante
un suo pellegrinaggio verso la terra Santa.
Nel 1114 dette vita alla comunità maschile di Montevergine
e nel 1133, giunto al Goleto, iniziò la costruzione del monastero femminile.
A Boleto trascorse gli ultimi anni della sua vita prima di morire nel
1142.
Pio XII, nel 1942, lo proclamò patrono principale
dell'Irpinia.
La lunga storia dell’abbazia, centro nevralgico per
la vita religiosa del meridione, si snoda in due periodi precisi.
Il primo risale dal 1135 al 1515 e viene ricordata
come l’epoca delle monache, perché la struttura abbaziale comprendeva
oltre alla chiesa posta in posizione centrale, un piccolo monastero
di monaci e un monastero più grande dove risiedevano monache di clausura.
Sotto la guida di celebri badesse la comunità in quel tempo crebbe si
arricchì di terreni e di opere d'arte, prima di cadere in decadenza
a causa dell’epidemia di peste nera che dilagò nel 1348.
Il monastero delle monache fu definitivamente soppresso
nel 1506 da papa Giulio II dopo la morte dell’ultima badessa avvenuta
nel 1515.
Il secondo periodo, dal 1515 al 1807 ebbe inizio
quando con la fine della comunità femminile goletana, il monastero fu
unito a quello di Montevergine, che provvide, per una lenta ripresa,
ad assicurare la presenza di alcuni monaci sotto l’ impulso determinante
di papa Sisto V, già superiore del convento francescano di Sant' Angelo
dei Lombardi.
tra la metà del Seicento e la metà del Settecento
venne completato il restauro del monastero e fu costruita la chiesa
più grande, opera di Domenico Antonio Vaccaro.
Dal 1807 al 1973 dopo che Giuseppe Bonaparte soppresse
l'Abbazia dividendo tutti i beni del Boleto con le terre vicine, il
monastero restò abbandonato all’usura del tempo e al vandalismo degli
uomini. Molti dei tesori appartenenti all’abbazia vennero recuperati
solo in seguito, grazie all’intervento del Ministero dei Beni Culturali,
e della Sovrintendenza alle Belle Arti di Avellino.
Una delle bellezze più imponenti dell’Abbazia ancora
visibile è la Torre Febronia, che prende il nome dalla badessa che nel
1152 ne dispose la costruzione per la difesa del monastero. La torre
una volta era a due piani e presentava numerosi blocchi incastonati,
adornati con bassorilievi provenienti da un mausoleo romano dedicato
a M. Paccio Marcello.
Al centro del complesso monastico poi si accede alle
due piccole chiese sovrapposte, che stanno a segnare il passaggio tra
l'arte romanica (chiesa inferiore, 1200 circa) e quella gotica (chiesa
superiore, terminata nel 1255). La prima che presenta una pianta a due
navate, di inconfondibile richiamo all’arte romanica, nacque come cappella
funeraria, tanto che al suo si conserva un'arca sepolcrale finemente
intagliata su pietra rossa, la seconda è considerata il vero gioiello
dell’Abbazia, e il suo interno è costituito da piccola sala a due navate
coperte da crociere ogivali, che poggiano su due colonne centrali e
su dieci mezze colonne immerse nei muri perimetrali. All'esterno completano
la struttura due piccole absidi sorrette da mensole e, tutt'intorno
alle pareti, barbacani con teste di animali e motivi ornamentali. Bellissimi
e pregiati gli altari, soprattutto quello costituito da una lastra di
marmo sostenuta da quattro colonnine munite di eleganti capitelli e
di basamenti tutti diversi tra loro.
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