Emilia
Romagna abbazie e monasteri
Abbazia di
Nonantola
La fondazione dell’Abbazia risale all’anno 752, quando
un piccolo gruppo di uomini, guidati dal longobardo Anselmo, si
insediò nella pianura nonantolana per fondare una comunità monastica.
Anselmo era cognato di Astolfo, re dei Longobardi, proveniva dal Friuli,
dove aveva ricoperto la carica prestigiosa di duca.
I confratelli edificarono rapidamente la chiesa e
il monastero, dedicandoli a San Silvestro; altri modesti fabbricati
furono adibiti a ripostigli per attrezzi e prodotti della terra.
I monaci seguivano la Regola di San Benedetto da
Norcia, e per questo il loro impegno quotidiano si divideva tra la preghiera
e il lavoro manuale, nel rispetto delle necessità dell’anima e del corpo.
Il territorio della Bassa a quel tempo si caratterizzava
per la presenza dominante di paludi, di brughiere, di pascoli naturali,
di ampie distese boschive; i campi adibiti a coltivazione e i villaggi
erano rari, di solito ritagliati tra valli e boscaglie generate da una
rete fluviale intricata e incontrollabile.
Sin dalla sua nascita l’abbazia ebbe la qualifica
e il ruolo di abbazia regia e imperiale, cioè di istituzione per molti
aspetti privilegiata, soggetta alla protezione ma anche al controllo
dei sovrani. La ricchezza del suo patrimonio terriero fu notevolissima
fin dalla fondazione e si accrebbe costantemente, grazie alle numerose
donazioni che dall’origine in avanti, caratterizzano la vitalità e il
prestigio della comunità.
Dopo il periodo di Anselmo, fu la volta dell’abate
Pietro nato con tutta probabilità in Francia, nel cuore dell’Europa
imperiale e carolingia.
A tratti, la storia della sua vita diviene tutt’uno
con le tappe del rafforzamento imperiale franco-carolingio ci sono ragioni
per credere che la sua nomina a Nonantola fosse avvenuta proprio per
volere dell’imperatore.
Durante gli anni del suo apostolato, circa un ventennio
tra l’804 e l’824-825 il prestigio del monastero si accrebbe notevolmente
in tutto l’ambito europeo. Un primo dato significativo è rappresentato
dalla quantità dei monaci presenti in quei decenni a Nonantola: circa
850 uomini, impegnati anche nelle chiese e nelle comunità monastiche
che da essa dipendevano.
L’abate non trascurò la propria comunità adoperandosi,
tra l’altro, per il suo arricchimento patrimoniale. I pochi documenti
superstiti sono interessanti, come una memoria scritta posteriore di
qualche tempo, dove si mettono in evidenza le lucide capacità gestionali
di Pietro.
Egli ordinò che tutti i beni e i redditi dell’abbazia
come le elemosine destinate ai poveri e tutte le spese necessarie per
gli arredi delle chiese ed il sostentamento dei confratelli fossero
registrati in forma scritta. L’abate aveva fatto redigere quello che,
probabilmente, era il primo Libro di entrate ed uscite del monastero,
a qualche decennio dalla sua fondazione, un registro doveva essere un
registro voluminoso se pensiamo alla portata delle operazioni economiche
già avviate e alla fitta rete di relazioni intessuta dai monaci stessi.
Di questo registro oggi non resta traccia.
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