Nel territorio del Mugello,lungo il tracciato tra
Borgo S. Lorenzo e Marrani, si trova una tra le più antiche abbazie
appartenenti all'ordine di Vallombrosa: Santa Maria a Crespino sul Lamone.
E proprio il piccolo centro abitato si pensa sia
nato dopo l’edificazione dell’Abbazia, anche se alcuni studiosi negli
ultimi anni hanno ipotizzato che l'abbazia vallombrosana non sarebbe
stata fondata ex novo, ma sarebbe subentrata ad un preesistente edificio
monastico.
Fondata forse nel 1048, la prima notizia certa dell'abbazia
risale all'anno 1097, quando venne trovato un documento che accertava
come l'abate della non lontana abbazia di S. Reparata avesse ceduto
all'abate di Crespino la chiesa di S. Eufemia.
Nel 1160 l’Impreatore Federico Barbarossa per testimoniare
l’importanza dell’abbazia quale luogo di culto e centro culturale, concesse
proprio all’abbazia l'esenzione dai feudatari locali sottomettendola
direttamente all'autorità imperiale.
Ricordata nella bolla di papa Lucio III del 1183,
e in quella di papa Innocenzo I del 1207, nel XIII secolo l’ Abbazia
di Crespino conobbe probabilmente il periodo di massimo splendore, tanto
che tra i suoi figli è ricordato un beato Alberto (morto nel 1270) e
intorno al 1256 al suo interno vestì l'abito vallombrosano la Beata
Umiltà di Faenza, fondatrice del Monastero delle donne di Faenza a Firenze
(che sorgeva presso la fiorentina via Faenza).
Dopo il declino che intaccò indelebilmente la sua
bellezza e imponenza, l’Abbazia fu distrutta e successivamente trasformata
in parrocchia.
L'aspetto attuale della chiesa, pianta a croce latina
e facciata a capanna, sembra mantenere il perimetro dell'edificio antico,
nonostante gli assidui lavori di restauro avvenuti nel corso dei secoli.
Alcuni importanti brani del rivestimento murario, che appare costituito
da regolari e grandi bozze di arenaria, sono visibili all'esterno e
sul lato sinistro della navata della chiesa. Risale all'epoca gotica,
tutta la zona absidale con gli archi e la scarsella quadrangolare, mentre
il campanile merlato fu eretto nel 1919 per desiderio del parroco don
Luigi Trioschi, che nel luglio 1944 fu tra le vittime del tragico eccidio
perpetrato dai Nazisti a pochi metri di distanza dalla chiesa.
Tra le opere che l'abbazia custodisce la più importante
è una pala d'altare cuspidata raffigurante la Madonna in trono col Bambino
e due angeli collocata sull'altare del braccio destro del piccolo transetto.
L'opera, mancante di gran parte della zona centrale per l'inserzione,
da parte dei monaci vallombrosani, è attribuita al pittore Jacopo del
Casentino (1297-1358), uno dei più acuti e sensibili interpreti della
cosiddetta "tendenza miniaturistica" della pittura fiorentina del XIV
secolo, che prende le mosse dall'insegnamento di Giotto, per accostarsi
poi al gusto raffinato ed elegante appartenente alla scuola senese.
Sull'altare opposto si trova un altro interessante
dipinto, che mostra i caratteri della pittura fiorentina della fine
del XVI secolo e presenta, oltre al santo fondatore dell'Ordine vallombrosano,
anche la figura di S. Antonio, non solo ritenuto uno dei padri del Monachesimo,
ma anche tradizionalmente venerato nelle campagne come protettore degli
animali e dei raccolti. Risalente alla fine del Cinquecento raffigura
la Resurrezione di Cristo con i santi Antonio Abate appunto e Giovanni
Gualberto.