Visioni di tradizione nazionale
e locale, invenzioni creative, rapidità di esecuzione, ore ed ore davanti
ai fornelli, piatti stracolmi, piatti scarsi, casa, ristorante, sala
mensa, l'elenco si allunga, si contraddice, si contrappone, tutto
è valido, tutto è, se non sbagliato, incerto ed impreciso.
Non c'è regola che tenga sul
primo, cosa che vale si per tutto il mondo enogastronomico ma sulla
prima portata questo aspetto si ingigantisce.
Chi considera primo una pizza o
una parmigiana, chi i pomodori ripieni di riso, chi una torta rustica,
chi il sushi, chi il riso cantonese, chi una frittura mista, tentare
di convincerli che si tratti di un secondo, di un piatto unico, di un
fuori pasto è inutile e, forse, con il passare dei tempi e il mutare
delle tradizioni, anche sbagliato.
Per la maggior parte degli italiani
la parola primo materializza un piatto di pasta, qualsiasi pasta, fino
agli anni settanta questa pasta era di semola, dieci anni prima era
lo spaghetto comprese le sue varianti in spaghettini, vermicelli, bucatini.
Prima della guerra il primo era la minestra.
Questo dimostra che anche dove
sono radicate forti tradizioni si assiste ad un lento cambiamento delle
abitudini alimentari.
Concludiamo con una parziale e
localizzata smentita di quanto sopra, ricordando che ove il territorio
sia rispettato dall'uomo, ove le sinergie fra una natura antropizzata
da secoli ma non snaturata e comunità fiere delle loro tradizioni siano
ancora in atto, ecco il miracolo, l'immutabilità di pappardelle
al cinghiale nel grossetano, malloreddus con pecorino abbondante alle
pendici del Gennargentu, pasta alle sarde sulla costa ai piedi dell'Etna,
risotti profumati dalle erbe nel novarese, canederli in brodo nei paesi
intorno a Trento, trenette al pesto nelle Cinque Terre e così via dicendo
per ogni luogo del Bel Paese.