Medicina Indiana
Doşa e Subdoşa
Di Amadio Bianchi
Secondo
l’antica medicina indiana, gli “agenti” regolatori della natura e quindi
anche del corpo umano sono i doşa. Anche salute e malattia conseguono
dalla loro condizione e interrelazione. Vāta è il principio del movimento,
della propulsione e della forza di eliminazione; pitta la combustione e la
trasformazione; kapha il consolidamento, l’assimilazione, l’inerzia.
Microcosmo e macrocosmo, secondo un fondamentale principio vedico,
sarebbero in dinamica unitaria interrelazione, anche per causa di questi
tre principi presenti in entrambi gli aspetti della manifestazione e, per
conseguenza, la natura eserciterebbe una vitale influenza sul complesso
psicosomatico umano. Per questa ragione, l’uomo, ad esempio, non solo
sarebbe influenzato dalle caratteristiche ambientali ma risentirebbe del
passaggio da una stagione all’altra.
Nell’interpretazione ayurvedica, il concetto di doşa è dunque un punto
focale da cui partire per effettuare, ad esempio una diagnosi clinica e un
trattamento terapeutico prevede il tentativo di riportare queste tre forze
in equilibrio.
Vediamo
ora di prenderle in esame un po’ più da vicino sia come primaria
localizzazione dal punto di vista patologico, sia funzionale. Vāta,
normalmente, alla presenza di squilibrio, si va principalmente ad
accumulare nell’intestino colon ma anche in altre zone dell’organismo come
le cosce, le anche, le ossa le orecchie, la trachea, il cervello, la
pelle. I cinque costituenti di vāta o subdoşa, infatti, determinano
funzioni che si possono ritenere principali e si dislocano in varie aree
del corpo:
1.
Il prāṇa vāta (prāṇa: aria prima o
principale) alimenta il cervello, i polmoni, il battito cardiaco, i
cinque sensi sopratutto udito e tatto.
2.
L’udāna vāta (aria che va verso l’alto)
lo ritroviamo nella gola, nel torace, nei polmoni, nell’ombelico, nei seni
nasali. Esso alimenta l’espirare, l’esprimersi (anche come parola), la
tosse, l’eruttare.
3.
Il sāmana vāta (aria che uniforma o
equilibra) alimenta la peristalsi ed è perciò diffuso in tutto
l’apparato alimentare, principalmente nell’intestino tenue. E’ collegato
all’assimilazione ma soprattutto alla digestione.
4.
L’apāna vāta (aria che si muove verso il
basso) è situato nel colon. Governa ogni tipo di espulsione come
quella relativa alle feci, all’orina, al flusso mestruale, al parto o
all’eiaculazione.
5.
Il vyāna vāta (aria diffusa o penetrante)
risiede nel cuore, nei vasi sanguigni, nella cute, nelle ossa, nei muscoli
e nei nervi. Alimenta, dunque, principalmente, la circolazione, ma anche i
movimenti del sistema muscolo-scheletrico e l’innervazione degli organi di
senso.
Quando
pitta si squilibra va ad accumularsi specialmente nell’intestino tenue ma
questo doşa si ritrova presente in maniera determinante anche nel fegato,
nella milza, nello stomaco, nella cute, negli occhi, nel cuore e nel
cervello, grazie all’azione funzionale dei suoi subdoşa che sono:
1.
Pācaka pitta (il pitta digestivo) si
trova nell’intestino tenue e nella parte finale dello stomaco, negli acidi
dello stomaco stesso, negli enzimi, nella bile e negli ormoni. Collegato
ad agni (il fuoco digestivo) regola anche la temperatura del corpo.
2.
Il rañjaka pitta (il pitta che dà calore)
è principalmente collocato nel fegato, nella milza, nell’intestino tenue,
nello stomaco, nel sangue, nella bile e nelle feci. Contribuisce, inoltre,
alla produzione di globuli rossi.
3.
Il sādhaka pitta (il pitta del
discernimento) lo si ritrova soprattutto nel cervello e nel cuore.
Genera sia la comprensione attraverso il pensiero logico sia il coraggio.
Permette anche la digestione mentale e psicologica dei fatti
dell’esistenza.
4.
L’ālocaka pitta può essere considerato il
pitta degli occhi e permette di comprendere ciò che si vede ma più
propriamente, in senso psicologico, consente di sperimentare una corretta
visione del mondo.
5.
Bhrājaka pitta è il fuoco che determina la
luminosità della pelle e la sua temperatura. Situato soprattutto nella
cute è tuttavia presente anche nel sudore e nelle secrezioni sebacee.
Il
kapha, il cui letterale significato è acqua rigogliosa, quando si
aggrava va accumulandosi principalmente nell’apparato respiratorio. Tra i
doşa, come ho già affermato in altre occasioni, è il più grossolano
ma di vitale importanza nella costituzione dei fluidi corporei come il
plasma, i muchi, la flemma, il liquido cerebro-spinale e sinoviale.
I suoi
subdoşa sono:
1.
Kledaka kapha (la forma dell’acqua che
umidifica) che ritroviamo nello stomaco a proteggere le pareti
dall’azione acida di pācaka pitta e a liquefare il cibo nella prima fase
della digestione.
2.
Avalambaka kapha (la forma dell’acqua che
sorregge) localizzato principalmente nel cuore, nella spina dorsale e
nella membrana pelvica. Esso lubrifica il cuore ed i polmoni ed è
responsabile dei sentimenti affettivi e, qualche volta, degli stati
depressivi che conseguono in caso di insoddisfazione.
3.
Il bodhaka kapha (la forma dell’acqua che
dà percezione) sta nella lingua, nella saliva e nella bocca ed è
associato al gusto non solo in senso fisico ma anche psicologico.
4.
Il tarpaka kapha (la forma dell’acqua che
da appagamento) risiede invece nel cervello, nel fluido
cerebro-spinale, nei seni nasali e nel cuore ed è anche associato alla
tranquillità emotiva nonché alla serenità.
5.
Lo śleşaka kapha (il kapha della
lubrificazione) è il fluido sinoviale che si trova nell’interno delle
giunture corporee e delle articolazioni in generale.
Per
concludere, doşa e subdoşa, sono, nella medicina ayurvedica, i
fondamentali costituenti del corpo insieme ai dhātu (tessuti),
upadhatu (tessuti secondari), dhārā kalā (membrane e
rivestimenti), srotas (canali circolatori), e mala (secrezioni
ed escrezioni corporee).
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