UNITA’ NELLA DIVERSITÀ
LA RELIGIONE CHE CONTIENE
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di Amadio Bianchi
NAMASTE’: bello il saluto
indiano! Namastè deriva dal sanscrito namaskar e significa mi inchino a te o
meglio mi inchino al divino che c’è in te. La vita stessa in India è già
religione in tutte le sue espressione ed in tutti i suoi gesti, riconoscendo
così in ognuno una espressione di quella infinita manifestazione che è Dio. Ma
mentre lo faccio unisco la mano sinistra, che rappresenta il principio
femminile, alla mano destra, principio maschile, le diversità, nonché i due
opposti, unificandoli in una esperienza di unità, quale Dio è nel pensiero più
evoluto indiano.
Emerge subito anche da questo
gesto simbolo che quando ci si accosta al divino si deve unificare il complesso
psicosomatico verso una singola idea.
Suppongo che se avessi potuto
fare l’astronauta, una volta vinte le vertigini della quali soffro fin da
bambino, allontanandomi dal nostro pianeta, mi sarei sentito rassicurato nel
constatare che la terra è rotonda. In fondo non ci fidiamo mai completamente di
quello che ci dicono gli altri.
E’ un problema di fiducia
quello che oggi possiamo considerare un problema serio. Innanzitutto non
nutriamo più fiducia in noi stessi e per conseguenza anche negli altri. Ciò
impedisce, attualmente, l’applicazione pratica dei nostri ideali, o delle nostre
intuizioni interiori.
Abbiamo iniziato il terzo
millennio e, in fondo, anche se la data l’abbiamo stabilita noi, e ritengo non
abbia nessuna importanza ai fini dell’evoluzione universale, ci siamo
emozionati. Vorrei che questa banale emozione continuasse ancora a crescere in
tutti, ancora di più, e provocasse un risveglio di reale volontà di cambiamento
e di qualità di coscienza. Vorrei che in futuro fossimo in grado di produrre
pensieri più "tondi" come il nostro pianeta e che l’umanità si mettesse
seriamente al lavoro più per unire anziché dividere, divenendo mentalmente più
plastica e meno spigolosa.
La mente umana, nella sua
evoluzione, ad un certo punto è stata in grado di produrre il concetto di
infinito ma non è riuscita, almeno per ora, a metterlo in pratica. Questo
potrebbe essere il pensiero rivoluzionario di questo nuovo millennio.
La concezione, reale, di una
società che crede in un Ente universale ed infinito dove ogni cosa fosse lui
stesso ma anche una sua manifestazione. In questo ambito la diversità
rappresenterebbe una rassicurazione del concetto che l’infinito esiste, e la
diversità non farebbe più paura e verrebbe rispettata.
Molte discipline stanno
tentando dalla notte dei tempi di percorrere questa via di intuizione, in
particolare lo Yoga, ma qualche volta falliscono perché i loro fautori non hanno
mai fatto realmente dentro di loro un percorso di esperienza in tal senso e si
perdono nella separazione.
L’errore nasce quando si
inizia a pensarsi nel giusto o si crede di tenere l’unica verità in pugno senza
tenere conto che l’uomo è impossibilitato per sua natura a liberarsi del
soggettivo. Continua in tal modo a frazionare la "Unica Verità" in tante parti
offrendola come intero, magari in buona fede, senza rendersi conto di quello che
sta facendo.
Già nel Rigveda, il più antico
dei testi a cui l’India fa riferimento, si legge: "EKAM SAT VIPRA BAHUDHA
VADANTI" ESISTE SOLO UNA VERITÀ’ MA I SAGGI LA CHIAMANO CON DIVERSI NOMI.
Mi pare che questa
affermazione porti con se i segni di una visione oggettiva che, d’altronde, può
scaturire solo dopo l’integrale sacrificio di se stessi nel fuoco della
conoscenza. Praticamente un’utopia... specialmente se osserviamo il comportamento
umano di questi ultimi tempi nei quali l’uomo sembra più disposto a sacrificarsi
per il suo successo personale, egoico, che per quello della società.
Tuttavia si rende conto di
pagare per la sua incoscienza un prezzo alto fondato sulla sua stessa
infelicità. Se ne rende conto ma ha perso la fiducia e, come un bambino sembra
disorientato e spaventato. Invece questo è il momento di fare qualcosa:
sforzarsi di pensare ed agire in modo "più positivo e oggettivo" consapevoli che
la via del soggettivo ha ormai rivelato i suoi difetti. Il soggettivo non ha
fatto disastri solo nel caso in cui si è posto al servizio dell’umanità. La
storia insegna...
A mio parere, per l’attuazione
di una migliore qualità dell’esistenza, diventa essenziale oggi ripartire
recuperando un comportamento più etico, più "dharmico"
Lo studio del Dharma, anzi,
dovrebbe precedere ogni altro tipo di ricerca. Direi giustamente! Basti vedere
cosa accade nella nostra società, dove non è così, per capire che, in fondo,
senza Dharma, si è costretti a vivere nell’infelicità, nella sfiducia reciproca
e nell’insicurezza.
La parola Dharma, e qui pare
che tutti gli studiosi siano d’accordo, deriva dalla parola indoeuropea DHR che
significa "sostenere, mantenere in essere e qualche volta formare".
Il Dharma è dunque sia qualche
cosa di fisso, stabile, saldo come nel Sanatana Dharma (l’eterna regola), sia la
forma delle cose, la loro stessa natura, ciò che le fa essere così come sono e
non altrimenti. E’ in base al Dharma che i corpi celesti seguono il loro corso.
Il Dharma è la qualità della manifestazione così come la fragranza è un Dharma
del fiore.
Il Dharma tuttavia,
analizzandolo da un punto di vista a noi più vicino, è legge della natura,
ordine sia del cosmo che della vita personale poiché detta le norme del
comportamento individuale.
Vivere seguendo il Dharma, il
proprio Dharma che è nella coscienza di ognuno, significa andare verso la nostra
vera natura, e portare questa in armonia con il Sanatana Dharma (o Dharma
universale) è l’essenza stessa della spititualità
Dal punto di vista pratico e
umano, il Dharma diventa come un codice di norme, come quello costituito dagli
Yama dello Yoga che intendono assicurare sia l’equilibrata coesione sociale, sia
la propria salute spirituale.
Gli Yama sono cinque: 1)
Ahimsa = non violenza, prima norma etica, prescrizione che si deve osservare e
realizzare per poter proseguire lungo la via della realizzazione. 2) Satya =
veracità. Consiste nella coerenza di parole pensieri ed azioni. 3) Asteya =
astensione dal furto, dal prendere cioè ciò che non ci appartiene ma anche
sopprimere in sé addirittura il desiderio di tale appropriazione. 4) Brahmacarya
= controllo dell’istintualità, castità: primo passo dell’itinerario ascetico. 5)
Aparigraha = non avidità, non possesso.
Non tentare di seguire il
Dharma significa essere nell’Avidya (parola sanscrita tradotta normalmente con
ignoranza). Ma Avidya (come si legge nell’Enciclopedia dello Yoga) è mancata
adesione alla verità e quindi mancata adesione a Dio e ciò comporta conseguenze
disastrose come ben testimoniato, per esempio nella cultura indù, dagli Ithiasa:
Il Mahabharata e il Ramayana, poemi epici antichissimi che assumono grande
importanza per chi è alla ricerca di norme comportamentali che si armonizzino
con il divino. Dharma è pertanto un termine sanscrito che riunisce in sé i
significati di legge divina ed eterna, dovere religioso e morale, virtù,
dottrina vera, giustizia.
Concludo, inoltre,
sottolineando che nell’ambito di un contesto sociale evoluto ognuno è meritevole
di rispetto proprio perché parte dell’Ente infinito. Ancor più i nemici che, tra
l’altro, sono i nostri migliori maestri in quanto cercano di colpirci dove siamo
deboli illuminandoci in tal senso.
Affermo che una qualificata
società del terzo millennio (se è vero che vogliamo essere migliori) deve essere
basata sul rispetto, sulla presa di coscienza della diversità come espressione
dell’infinito e dell’esperienza interiore dell’unità. L’esperienza del
particolare che si offre all’universale nell’insorgere di una nuova coscienza e
si nutre con la luce della verità più oggettiva possibile, bruciando nella
fiamma dell’amore.
Una qualificata società del
terzo millennio deve tornare a sperare, credere ed avere fiducia nelle
realizzazione dei suoi migliori ideali, nutrendosi con la gioia di appartenere a
questa manifestazione e lavorare ad un progetto unificante di fratellanza.
Solo così si potrà sperare
nell’esperienza dell’"Uno" quella che i laici chiamano esperienza universale ed
i mistici esperienza di Dio.
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