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CAVALLO E SPORT
Appena l’uomo
inizia ad addomesticare il cavallo capisce subito quanto questo animale può
essergli utile, ed inizia ad avvalersene in molti campi: nell’azione bellica,
nell’agricoltura e per il solo svago.
Da sempre si sono organizzate gare, non solo per divertimento, in questo modo la
voglia di primeggiare porta necessariamente alla esigenza di trovare i soggetti
migliori. Avere un buon cavallo accresce il prestigio del proprietario, il
quale, per riuscire nell’ intento, opera una selezione tra le razze finalizzata
ad avere una cavalcatura sempre più efficiente.
Quale modo migliore di una gara
o di una manifestazione ippica, dove solitamente si trovano riuniti tutti i
cavalli più veloci, più robusti, più belli, come quelli usati nelle parate. Da
queste esigenze di svago e di divertimento, ne uscirono poi cavalli selezionati
per uomini di comando, aristocratici o ricchi commercianti che se ne potevano
servire per i più diversi usi.
Nelle Olimpiadi dell’antica Grecia si svolgevano anche manifestazioni equestri.
Lo stesso Omero descrive minuziosamente in un canto dell’Iliade questa
manifestazione, e ciò fa presumere anche una consuetudine precedente allo
svolgimento di queste gare. Vi erano quelle dei “corsieri” (in sella) già dal
564 a.C., mentre le corse delle quadrighe “tethrippon” iniziano nel 680 a.C.,
quest’ultime si svolgono con cocchi trainati da quattro cavalli adulti che
devono completare 12 giri di stadio per 4 stadi.
Le quadrighe (anche fino a 40)
si disponevano sulla pista larga circa 100 metri, e nelle curve avvenivano
spesso incidenti. In queste manifestazioni non chi conduceva il carro, ma
vinceva il proprietario del cavallo, che per partecipare alle gare, giungevano
da tutta la Magna Grecia portando con se gli esemplari migliori.
Verso il II sec. a.C., questo tipo di gara olimpica incomincia ad essere
difficile da organizzare a causa degli alti costi di trasporto e per le mutate
condizioni politiche.
Nel frattempo, a Roma, si svolgono gare eseguite da veri professionisti del
settore, i cosiddetti “aurighi”, che svolgevano varie gare. Di queste “corse”,
ne fanno parte quattro squadre: blu, bianche, verdi, e rosse. (in seguito
saranno aggiunte da Domiziano la porporina e l’aurata), che si cimentarono anche
fino a 24 corse su una distanza di 8.600 metri.
Si guida il carro con le redini
avvolte intorno al petto; la posizione eretta che doveva essere assunta per
rimanere in equilibrio, andava ad aggravare con il peso sulla bocca dei cavalli.
Il sistema di guida era molto pericoloso per il conducente, che nel caso di
ribaltamento del cocchio, si ritrovava legato alle redini e veniva trascinato
via dai cavalli. Per questo portavano sempre con loro anche un corto pugnale da
usare per tagliare velocemente le redini se rimanevano imprigionati.
Ogni squadra aveva i propri allenatori, allibratori, veterinari, sarti,
sostenitori, ecc., ed essere un famoso auriga all’epoca, significava poter
accumulare una fortuna.
Anche per la stessa Roma organizzare frequentemente queste manifestazioni
diventò troppo oneroso, e quindi furono abbandonate, si continuò solo ad
organizzare corse “alla sella”, ritenute certamente inferiori, che si
svilupparono invece enormemente in Francia ed Inghilterra.
In questa gara il fantino, oltre il cavallo su cui monta, ne porta anche uno
sottomano, sul quale salta su al volo prima dell’ultimo giro, in modo da
percorrerlo con il cavallo meno stanco.
In Inghilterra la corsa dei cavalli in gare “alla sella” era molto seguita, sia
su percorsi liberi, sia su quelli obbligati, mentre nel resto dell’Occidente i
tornei erano di gran moda.
Nell’Impero d’Oriente, soprattutto a Bisanzio le corse invece continuano con
grande impegno, le varie squadre che vi parteciparono rappresentarono anche
fazioni politiche e religiose, le gare quindi rappresentarono soprattutto una
sorta di scontro, una rivalità tra opposte fazioni, da aggiungersi alle varie
congiure e giochi di potere.
Francesco Tola
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