Nel Medio Evo i
tornei a cavallo erano organizzati dai nobili allo scopo di allacciare
importanti relazioni politiche, e selezionare i cavalli migliori da usare in
caccia e per incrementare gli allevamenti, questo tipo di manifestazioni si
sviluppa soprattutto in occidente. Inizialmente erano un misto tra avvenimento
mondano e parata militare con le partecipazioni alcune volte anche di 2000
cavalieri, il che li rendeva imponenti visivamente ma poco interessanti a
livello agonistico. Questo tipo d’esibizione dura poco, e decade totalmente in
favore del duello equestre, il cui numero di concorrenti è limitato ma
agonisticamente più interessante, anche se talvolta gli scontri in campo sono
così violenti da lasciare a terra feriti ed anche morti.
Il torneo si
svolgeva in un ampio spiazzo, ai cui lati protette da palizzate vi erano le
tribune del pubblico e dei nobili, mentre il centro era diviso in varie corsie,
i cavalieri protetti da armature e provvisti di lancia sopra i propri cavalli
tenuti dai palafrenieri si disponevano uno di fronte all’altro in ogni corsia,
l’inizio della sfida era annunciato da uno squillo di tromba, a quel segnale
prendevano le briglie in mano e spronavano il cavallo, prima al piccolo trotto
per poi aumentare man mano l’andatura, con la lancia tesa si scontravano con
l’avversario al centro del campo, chi non riusciva schivare il colpo e finiva a
terra era dichiarato sconfitto.
I tornei
teoricamente erano svolti in onore delle dame ma in concreto il premio per il
vincitore era tutt’altro che disprezzabile, oltre che tenersi sia l’armatura sia
il destriero dell’avversario quest’ultimo era considerato prigioniero, per
ritornare libero doveva pagare un riscatto, alla fine quindi a queste gare
partecipavano quasi esclusivamente veri professionisti che si esibivano
soprattutto per il guadagno.
Nel 500 i
cavalli provenivano quasi esclusivamente dal Mantovano, Ferrarese e Napoletano,
allora ritenute le sedi dei cavalli più pregiati, perché vi erano allevamenti
che operavano una sorta di selezione della razza, anche se poi nel tempo questi
esemplari di cavalli si estinsero, la razza Mantovana per esempio, portata in
numerosi esemplari in Inghilterra ha fondato il ceppo del cavallo da corsa
inglese.
La moda dei
tornei durò fino alla morte d’Erico II di Francia nel 1559, che perì proprio per
un colpo di lancia durante un torneo, a quel punto fu abolita come
manifestazione equestre, si continuarono a svolgere solo caroselli o gare su
pista, anche se in queste corse poi non si teneva conto, come invece accadeva in
Inghilterra, dell’importanza di alleggerire la schiena del cavallo, come dire a
dispotici e permalosi nobili che il fantino da loro scelto molto spesso era il
meno adatto per avere buoni risultati in gara.
In Inghilterra invece le corse,
che avevano origini antiche, hanno una folta schiera di sostenitori, ed è qui
che s’importano appositamente i primi cavalli arabi (precisamente berberi), per
migliorare la razza. Enrico VIII, addirittura arrivò ad emanare leggi rigorose
in tal senso, fino ad obbligare Duchi e Arcivescovi ad allevare almeno sette
stalloni, mentre clerici e laici (le cui mogli usassero portare abitualmente il
cappello) ne dovessero avere almeno uno pena salate multe. E’ a Napoli però che
si ebbe una vera evoluzione in campo ippico, Federico Grisone nella sua
accademia frequentata da tutta la nobiltà Europea, dimostrò che il cavallo
poteva essere assoggettato dal cavaliere fino a fargli eseguire particolari
movimenti a comando come: il salto da fermo, impennarsi, ecc., al Grisone
succedette il principe Pignatelli, che perfezionò la tecnica ed inventò nuovi
morsi e cavezze.