ARTI MARZIALI
SUMO
Specialità tipica giapponese, il Sumo – parola che significa
strattonarsi l’uno con l’altro - fu sicuramente influenzato da paesi
asiatici quali Cina e Korea.
Questa disciplina sportiva ha origini antichissime: il
primo incontro pare si sia svolto nel 642 d.C. presso la corte dell’Imperatrice
Kogyoku, e da rito religioso nel tempo si è evoluto a pura attività militare
sino a diventare una vera e propria attività sportiva, passando dallo statuto
di intrattenimento per gli Dei a quello di spettacolo esclusivo per i nobili,
prima, e per il popolo poi.
Inizialmente le gare di Sumo erano semplici recite, ossia
delle simulazioni di lotta. Pian piano sono diventati veri combattimenti
attraverso l’organizzazione di tornei (basho) con cadenze sempre
più regolari nel tempo.
Il combattimento avviene all’interno di una specie di
ring, denominato dohyo (paglia di riso), costituito da un quadrato
realizzato proprio in paglia di riso con un cerchio sovrapposto.
Il dohyo è in realtà più di un semplice ring,
poiché è dotato di un tetto che gli conferisce il regale aspetto di un tempio.
Ai quattro angoli del tetto sono appesi fiocchi di diverso
colore – verde, nero, giallo e rosso – a rappresentare le quattro stagioni.
I quattro angoli del Dohyo sono anch’essi contrassegnati
da quattro diversi colori: bianco, rosso, verde e nero.
All’angolo bianco è allocato un contenitore per il
sale porta-fortuna contro gli infortuni, mentre in quello rosso c’è
il contenitore dell’acqua della forza.
Lo scopo del combattimento consiste nel buttare a terra
l’avversario – basta che questi tocchi per terra con qualsiasi parte del
corpo ad eccezione delle piante dei piedi – oppure nel forzarlo ad uscire
dal cerchio.
Le fasi del combattimento si distinguono in posizionamento,
in attacco e scontro e per il raggiungimento dello scopo i
lottatori (rikishi) fanno ricorso a vere e proprie prese con la possibilità
di strattonarsi.
Le tecniche (kimarite) adottate dai lottatori
– che sono notoriamente vestiti con il solo perizoma (mawashi) -
sono diverse; hanno comunque l’obbligo di attenersi scrupolosamente all’osservanza
di alcuni principali divieti quali:
- tirare i capelli;
- colpire a pugno chiuso;
- colpire petto e stomaco;
- dita negli occhi;
- spogliare il contendente.
I lottatori sono divisi in due grandi classi, a seconda
del numero di incontri vinti, e i loro vestiti sono caratterizzati da diversi
colori ed ornamenti a seconda della categoria di appartenenza.
La stessa acconciatura dei capelli (oicho) sta
ad indicare il livello agonistico raggiunto dal lottatore.
Le categorie più alte sono denominate Maku-uchi
che letteralmente significa "sotto la tenda", Sekiwake Komusubi e
Ozeki.
Il lottatore che ha vinto due tornei come Ozeki, battendo
cioè almeno 8 avversari su 15, entra nella categoria Yokozuna ed
il suo ingresso sul dohyo è preceduto da un caratteristico rituale detto,
per l’appunto, Yokozuna-dohyò-iri.
La categoria Yokozuna, rappresentata solitamente
da un solo uomo, rappresenta lo spirito stesso del sumo.
Mentre dalle altre categorie si può essere retrocessi,
ciò non avviene per la Yokozuna; per questa categoria tuttavia la gente
si aspetta che il lottatore si ritiri dignitosamente nel caso in cui questi
non si ritenga più all’altezza di ricoprire quel ruolo.
Il Sumo è oggi motivo di orgoglio per i giapponesi e,
grazie alla sua enorme popolarità, viene considerato lo sport nazionale
del Giappone.
In Italia c’è una piccola sezione dedicata al Sumo all’interno
della Federazione Italian Judo Lotta Karate Arti Marziali: agli scorsi Campionati
Mondiali di Sumo organizzati in Germania nel 2004 la squadra italiana ha
conseguito un 5° posto con la squadra femminile ed un 7° posto con quella
maschile.
|