MITI E LEGGENDE DEL MARE
IL MISTERO
DELLA MARY CELESTE
Benjamin
Spooner Briggs e David Reed Morehouse oltre ad essere grandi amici erano
accomunati dagli stessi interessi e dallo stesso lavoro, infatti, erano
i comandanti di due navi da trasporto che percorrevano le rotte atlantiche
tra l’America del nord e l’Europa: la Mary Celeste il primo e
il Dei Gratia il secondo.
Malgrado
il loro carattere completamente diverso ed opposto: introverso e religiosissimo
il primo - tanto che la lettura preferita e quasi esclusiva era rappresentata
dalla Bibbia - estroverso e più brillante il secondo, sapevano trovare
il modo di intendersi e di rispettarsi, procedendo di comune accordo.
Nel Novembre
1872 le due navi, il brick-goletta Mary Celeste e il brigantino
Dei Gratia, erano ormeggiati in un molo del porto di New York
per le operazioni di carico; il Dei Gratia stava completando
il riempimento dei serbatoi con petrolio grezzo da trasportare a Gibilterra,
mentre la Mary Celeste, più avanti con i lavori, stava terminando
di stivare il suo carico composto di 1700 barili di alcool da trasportare
a Genova; da lì a pochi giorni, infatti, salperà il 5 novembre dello
stesso anno. Il suo equipaggio era composto da due ufficiali americani,
quattro marinai tedeschi e da un cuoco americano; il comandante, Benjamin
Spooner Briggs, in quel viaggio, aveva voluto con se la moglie e la
figlia di due anni, mentre aveva preferito lasciare a terra l’altro
figlio di sei anni per consentirgli di continuare a frequentare la scuola.
Anche il
Dei Grata dieci giorni dopo, il 15 novembre 1872, prese il largo
alla volta del porto di Gibilterra con il suo carico di petrolio grezzo.
Le due navi,
quindi, percorrevano a distanza di dieci giorni, la stessa rotta.
E’ risaputo
che in quel periodo dell’anno l’Oceano Atlantico è quasi costantemente
in burrasca a causa dei forti venti e delle piogge battenti; gli uni
danneggiano le vele mentre le piogge continue impediscono le normali
attività di bordo.
Il 5 dicembre
il Dei Grata avvistò, all’altezza delle Azzorre, una nave che
procedeva con un’insolita andatura a zig-zag in balia del vento e dei
flutti; la nave alzava solo il fiocco e la trinchettina ed avanzava
ad una velocità di circa due nodi; tutte le altre vele apparivano regolarmente
imbrogliate sui pennoni.
In coperta
e al timone non si vedeva nessuno.
Il Comandante
Morehouse e il suo primo ufficiale, decisero di accostare per accertarsi
se la nave avesse bisogno di aiuto e fu in quel momento che il Comandante
si rese conto che l’imbarcazione era quella del suo amico Briggs, partita
da New York dieci giorni prima.
Morehouse
comprese immediatamente la delicatezza della situazione; fece, allora,
ammainare una lancia ed inviò sulla Mary Celeste il suo secondo,
Oliver Deveau, e due marinai, mentre lui da bordo del Dei Gratia,
seguiva la ricognizione con il cannocchiale.
L’esplorazione
confermò che a bordo della nave non c’era nessuno; mancava la lancia
di salvataggio, i boccaporti principale e di prua erano aperti, il timone
era in perfetto stato e non era stato bloccato, i vetri della chiesuola
erano rotti, ma la bussola funzionava perfettamente, la vela di strallo
era stata ammainata e posata sul castello di prua.
Il mare agitato
di quei giorni, quasi sicuramente, aveva spazzato il ponte di coperta
portando con se le manovre correnti, mentre il castello di prua era
pieno d’acqua.
Tutti i portelli
della cabina principale erano stati ben chiusi, ma l’osteriggio era
completamente aperto e la pioggia e le ondate provocate dal maltempo,
avevano bagnato ogni cosa all’interno, rovinando persino l’orologio.
Sul libro
di bordo l’ultima annotazione risaliva al 25 novembre e dava la posizione
della nave a sei miglia a est dalla punta di Santa Maria delle Azzorre.
Morehouse
inviò allora a bordo della Mary Celeste altri due marinai e con
quel limitato equipaggio ordinò al suo secondo di seguirlo a Gibilterra,
dove Deveau giunse un giorno dopo di lui, il 13 dicembre.
Deveau scrisse
nel rapporto che a suo parere l’equipaggio aveva abbandonato la nave
in preda al panico, e questo farebbe pensare a una sola ipotesi: la
nave trasportava un carico altamente infiammabile che stava evaporando
e a conferma di questo, quando la nave raggiunse Genova, nove barili
risultarono vuoti proprio a causa dell’evaporazione. I marinai, è noto,
temono più il fuoco che l’acqua e la volatilità dell’alcool ne faceva
un carico molto pericoloso. Forse l’odore dell’alcool che evaporava
aveva messo in allarme l’equipaggio che, temendo un incendio o, peggio,
un’esplosione, avrebbe temporaneamente abbandonato la nave imbarcandosi
sulla scialuppa di salvataggio con l’intenzione di ritornare a reimbarcarsi
una volta cessato il pericolo (i portelli aperti sarebbero serviti ad
aerare la stiva); se non che il peggioramento del tempo verificatosi
proprio in quei giorni sarebbe stato fatale alla piccola imbarcazione
che sovraccarica sarebbe stata tragicamente spazzata via dalle onde.
L’inevitabile
inchiesta che seguì l’episodio, suscitò accese polemiche e fece molto
rumore; anche il Tribunale, investito dell’argomento, fu molto perplesso
sulla storia del ritrovamento, anche a causa dell’alto valore del carico
(30000 dollari).
Il sospetto
che la scomparsa dell’equipaggio fosse una simulazione per intascare
il premio dell’assicurazione, spettante a chi ritrovava in mare una
nave abbandonata, rasentava la certezza.
L’inchiesta
sulla scomparsa dell’equipaggio, però, non approdò a nulla per cui,
nel marzo del 1873, il Tribunale assegnò al Dei Gratia, per il
ritrovamento, un indennizzo di 1700 sterline che rappresentava, però,
solo 1/5 del valore del carico e della Mary Celeste.
La cronaca
descritta dai giornali dell’epoca pose in evidenza l’interrogativo:
"…che fine fece l’equipaggio?…". Furono avanzate le più svariate ipotesi
per spiegare il mistero della scomparsa dell’equipaggio della nave;
fu ipotizzato un abbordaggio ad opera di pirati che avrebbero assassinato
e gettato in mare tutti gli uomini, la moglie del comandante e la figliola
ma tale ipotesi non trovò conferma dal momento che sulla nave non fu
trovata traccia di lotta o di sangue.
Si pensò,
anche, ad un ammutinamento, alcuni parlarono di piovre o calamari giganti
che avrebbero assalito la nave, altri si espressero in ordine a tempeste
magnetiche, altri ancora ipotizzarono un rapimento da parte degli extraterrestri,
alcuni supposero che un gas misterioso avesse fatto impazzire l’intero
equipaggio inducendolo ad un suicidio di massa; persino la commissione
d’inchiesta incaricata di far luce sull’episodio, perse due giorni a
discutere sulla possibilità che un mostro marino sconosciuto fosse improvvisamente
emerso dalle profondità dell’Atlantico divorando l’intero equipaggio.
Gli anni,
intanto, passavano e, quando l’interesse del pubblico cominciava ad
affievolirsi, c’era sempre un presunto superstite dell’equipaggio che
raccontava la sua brava storia che inevitabilmente smentiva quella del
"superstite" precedente.
Ed è a questo
punto che cominciò a delinearsi la leggenda del mistero della Mary
Celeste.
La nave,
in origine, si chiamava con un altro nome: Amazon, e i vecchi
marinai – depositari delle più ferree superstizioni marine - sanno che
porta male cambiare il nome alla nave, per cui la scomparsa dell’equipaggio
non era altro che una delle inevitabili conseguenze cui era destinata
la Mary Celeste; a conferma di ciò e soprattutto della maledizione
che fin dall’origine accompagnava la nave, ricordavano che il primo
comandante era morto in mare pochi giorni dopo il varo; che era entrata
in collisione con un brigantino affondandolo; che nel 1867 si era arenata
a Cape Breton; che molti marinai si rifiutavano di imbarcarsi su una
nave che già godeva di nefasti presagi e che i meno titubanti venivano
convinti con il suono di monete d’oro.
Una supposizione
molto inquietante secondo una delle tante leggende che investirono la
Mary Celeste, fu quella che tutto l’equipaggio, imbarcato sulla
scialuppa di salvataggio, venne colpito da un attacco di irrefrenabile
frenesia collettiva dovuta al caldo, all’umidità in mare e alla paura
di morire di stenti su una barca alla deriva che convinse l’intero equipaggio
di accelerare l’inevitabile morte gettandosi in mare e morire, con il
capitano, come fanno gli eroi.
Anche la
fine della Mary Celeste rispettò la fama di nave maledetta: nel
1880, il suo armatore, non trovando equipaggio disposto ad imbarcarsi,
decise di vendere l’imbarcazione ad un individuo disonesto ed immorale,
un certo Parker che, con altri infami, la utilizzò per il contrabbando
finché naufragò con un carico di rottami, sebbene il carico fosse stato
assicurato come fosse di gran valore.
L’influenza
di nave maledetta si estese anche alle persone che in un qualche modo
avevano avuto collegamenti con l’imbarcazione; molti marinai che su
di essa erano stati imbarcati, perirono tragicamente e lo stesso Devau
che l’aveva condotta a Gibilterra, su ordine del comandante del Dei
Gratia, morì tragicamente pochi mesi dopo l’impresa.
Sandro Bianchi
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