MITI E LEGGENDE DEL MARE
Scilla e Cariddi
Se è vero
che l’attraversamento del mare rappresenta il superamento di qualcosa
di ignoto e quindi di terribile, ancor più pericoloso doveva esser il
superamento di un Stretto dove delle correnti diverse potevano sballottare
il naviglio da una parte o dall’altra e dove la visuale da una terra
a l’altra dava la concreta idea del superamento di un confine.
Successe
così che, per gli antichi marinai, lo stretto di Messina, fosse abitato
da due terribili mostri: Scilla e Cariddi.
Sulla punta
della Calabria, troviamo Scilla (il significato greco del nome è: colei
che dilania). Prima di diventare un mostro marino, Scilla era una ninfa,
figlia di Forco e Ceto.
Secondo la
leggenda, Scilla viveva in Sicilia, ed aveva la passione di andare sulla
spiaggia di Zancle e fare il bagno.
Una sera,
mentre la ninfa era sulla spiaggia, vide apparire dalle onde Glauco,
il figlio del dio Poseidone, un dio marino metà uomo e metà pesce. Scilla,
terrorizzata alla sua vista, si rifugiò sulla vetta di un monte che
si trovava vicino alla spiaggia. Il dio, infatuato dalla visione di
Scilla, iniziò ad urlarle il suo amore, ma la ninfa continuò a fuggire,
lasciando il poveretto solo con il dolore per un amore non corrisposto.
Glauco, senza
darsi per vinto, andò all'isola di Eea dove aveva dimora la maga Circe
chiedendole un filtro d'amore. Circe, innamorata del giovane dio, gli
propose di lasciar perdere ed accettare invece il suo amore.
Glauco si
rifiutò, confermando il suo amore per Scilla. Circe, furiosa per essere
stata respinta, decise di vendicarsi sulla giovane ninfa.
Quando Glauco
fu lontano, la maga preparò una pozione per vendicarsi dell’affronto
subito e si recò presso la spiaggia di Zancle, senza essere vista,
versò il filtro in mare e ritornò alla sua dimora.
Scilla arrivò
sulla spiaggia per fare un bagno. Appena entrata nell’acqua vide crescere
intorno a sé delle mostruose teste di cani. Spaventata fuggì al largo,
ma si accorse che i cani la seguivano dato che erano il frutto del filtro
di Circe. Si rese conto allora che sino al bacino era ancora una ninfa
ma al posto delle gambe, attaccati al resto del corpo con un collo serpentino,
spuntavano sei musi feroci di cani. Per l'orrore Scilla andò a vivere
nella cavità di uno scoglio che da lei prese il nome.
Cariddi (dal
greco: colei che risucchia) nella mitologia greca era un mostro marino
che prima beveva enormi quantità di acqua e poi le sputava. Secondo
la leggenda, Cariddi, era figlia di Poseidone, dio del mare e Gea dea
della terra.
Cariddi faceva
delle rapine ed era famosa soprattutto per la sua ingordigia.
Un giorno,
la giovane ladra, rubò ad Eracle i buoi di Gerione per mangiarne qualcuno.
Zeus, per punirla del saccheggio, la fulminò facendola cadere in mare.
Per mantenerla in vita, Cariddi venne trasformata in un mostro che formava
un vortice marino, così potente da inghiottire le navi, per poi risputarne
i resti, che passavano vicino a lei.
La leggenda
pone la tana del mostro presso uno dei due lati dello stretto di Messina,
di fronte all'antro del mostro Scilla.
Le navi che
passavano per lo stretto di Messina, così, erano obbligate a passare
vicino ad uno dei due mostri.
Nella realtà,
in quel tratto di mare si trovano davvero vortici potenti causati
dall'incontro delle correnti marine. Se al giorno d’oggi si volesse
visitare il nascondiglio di Cariddi, dovrebbe andare sulla punta messinese
della Sicilia, a Capo Peloro.
Cariddi è
menzionata anche nel canto XII dell'Odissea di Omero, in cui si narra
che Ulisse preferì affrontare Scilla, per paura di perdere la nave passando
vicino al gorgo.
Anche Virgilio
nella sua Eneide, fa menzione dei due mostri.
Odissea libro XII
Là dentro Scilla vive, orrendamente latrando:
la voce è come quella di cagna neonata,
ma essa è mostro pauroso, nessuno
potrebbe aver gioia a vederla, nemmeno un dio, se l'incontra.
I piedi son dodici, tutti invisibili:
e sei colli ha, lunghissimi: e su ciascuno una testa
da fare spavento; in bocca su tre file i denti,
fitti e serrati, pieni di nera morte.
Per metà nella grotta profonda è nascosta,
ma spinge le teste fuori dal baratro orribile,
e lì pesca, e lo scoglio intorno intorno frugando
delfini e cani di mare e a volte anche mostri più grandi
afferra, di quelli che a mille nutre l'urlante Anfitrìte.
(...)
L'altro scoglio, più basso tu lo vedrai, Odisseo,
vicini uno all'altro, dall'uno potresti colpir l'altro di freccia.
Su questo c'è un fico grande, ricco di foglie:
e sotto Cariddi gloriosa l'acqua livida assorbe.
Tre volte al giorno la vomita e tre la riassorbe
paurosamente. Ah che tu non sia là quando assorbe!
Virgilio (Eneide III 420-23)
“Il fianco
destro di Scilla, il sinistro Cariddi implacabile tiene, e nel profondo
baratro tre volte risucchia l’acqua, che a precipizio sprofondano, e
ancora nell’aria con moto alternale scaglia, frusta le stelle con l’onda"
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