DOPING
Il doping (dall'inglese
to dope = drogare), pur non essendo un fenomeno di recente nascita,
è da poco venuto alla ribalta invadendo pagine di giornali, dibattiti, tavole
rotonde e convegni, coinvolgendo settori vasti e popolarmente noti dello
sport.
Seppur non vadano dimenticate
le molte e spesso sottaciute vicende che negli anni passati hanno portato
ad un indiscriminato uso della sperimentazione chimica su giovani e promettenti
atleti dell’Est europeo, le recenti e tremende morti di giovani atleti così
come le incriminazioni di volti tanto noti da esser divenuti veri e propri
eroi nazionali delle discipline più seguite ed apprezzate dagli appassionati
di sport, hanno portato infatti all’ordine del giorno dell’opinione pubblica
questo argomento e, quel che è più interessante,
lo hanno prepotentemente riportato sotto la sfera di interesse di
quella branca scientifica della medicina che affronta queste problematiche,
la medicina sportiva.
Spesso questione sottovalutata,
il doping, portato alle sue
estreme conseguenze, rappresenta non solo un enorme rischio per la salute,
ma anche la fine di quell’aspetto di sana e positiva competizione tra atleti,
poiché oltrepassa, abbattendole, le barriere della natura e della normale
resistenza fisica di un organismo.
Basta un prelievo di sangue
per rilevare la presenza di sostanze dopanti all’interno di un soggetto,
ma tutto ciò si profila con l’ombra di un’invasione del diritto di privacy:
tali controlli per ora si attuano infatti a sorpresa, nonostante esista
la proposta di renderli obbligatori, per il calcio - ad esempio - a partire
dai prossimi Campionati europei del Portogallo.
Ma non si deve sottovalutare
che in questo campo la scienza, gli organismi legislativi e quelli che dovrebbero
garantire a livello generale lo svolgimento “sano e pulito” degli sport
agonistici (tra questi ultimi in primis il Cio, Comitato Olimpico Internazionale)
si trovano di fronte alle problematiche rappresentate dalla difficoltà di
varare dei provvedimenti univoci e validi per porre freno a questo malcostume:
esistono infatti non solo delle differenze tra singoli sport, derivate
dal fatto che le stesse sostanze non possono essere vietate in tutte le
discipline (un esempio: l’assunzione di sostanze ritenute dopanti nello
sport del sollevamento pesi non influiscono su un giocatore nello svolgimento
di una partita di calcio), ma anche dei problemi di ordine chimico-scientifico,
che rendono quasi impossibile lo stare al passo con la scoperta di sostanze
sempre diverse in grado di risultare invisibili ai vari controlli. Si ricorda
che la normativa vigente nel nostro paese è legata e deriva dalla
legge 14 dicembre 2000, n. 376 "Disciplina della tutela sanitaria delle
attività sportive e della lotta contro il doping"
Questo problema purtroppo non
riguarda solo gli sport per così dire “ricchi e famosi”, ma paradossalmente
si intensifica nel caso di discipline meno poste sotto la luce dei riflettori:
i dati allarmanti si impennano infatti quando si parla, ad esempio, di
triathlon, tiro a volo e squash, sport sottoposti di
certo a controlli minori, ma nei quali comunque i praticanti ritengono evidentemente
esistente un motivo valido per rischiare salute e non raramente la vita
stessa, pur di primeggiare.
In questo quadro relativamente
inquietante una sola visione si delinea come risolutiva,
il cui carico spetta sia alla scienza medica, sia all’intero sistema
dei media e a quello in ogni modo collegato al mondo dello sport, ossia
la ferma prospettiva di incrementare la diffusione di una sana cultura dello
sport, che possa da sola influire sulla cessazione di tale nocivo sistema
e riportare al centro quell’originario spirito agonistico basato sull’onesta
sfida contro sé stessi ed i propri simili in base ai normali limiti, così
come ci sono stati imposti da Madre Natura, che – non nascondiamocelo –
c’è tutto un altro gusto a superare con sforzo, allenamento e costanza.
dati ufficiali
del Ministero della salute:
http://www.ministerosalute.it/antiDoping/antiDoping.jsp
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