La sua prima comparsa risale alla Grecia ellenistica,
usato in alternativa al termine “gastrologia”, al fine di indicare la
prima opera composta sulla sapienza culinaria, frutto di Archestrato
di Gela, poeta del IV° secolo a.C..
La gastronomia in quanto branca del sapere ha subìto
alterne vicende: si va infatti dalla sua massima esaltazione presente
in statuti scientifici (nel 1825 sarà il francese Anthelme Brillat-Savarin
a definirla “conoscenza ragionata del rapporto alimentazione-uomo” nella
sua Phisiologie du gout) fino alla massima condanna (di solito per ostilità
di matrice religiosa, incline a declassare l’arte della cucina nel settore
dell’effimero e ad additare come peccaminosi i piaceri della buona tavola).
I principali oggetti di interesse della gastronomia
sono rappresentati dalla preparazione delle pietanze, dalla loro successione
e dal loro accostamento, oltre che dalla loro coniugazione con le bevande
(solitamente vini per le occasioni di rilievo), dalla distribuzione
delle porzioni ai commensali, dall’articolazione e dalla differenziazione
dei pasti all’interno del quadro quotidiano e stagionale.
In realtà la storia dell’alimentazione affonda le
sue radici in tempi remotissimi, poiché legata alla sopravvivenza stessa
dell’uomo: il suo studio comincia però a destare un certo interesse
a partire dal momento in cui il cibo non è più soltanto legato alle
disponibilità naturali dell’habitat, ma costituisce invece una variante
di scelta, grazie alla scoperta del fuoco e quindi all’introduzione
dei primi metodi rudimentali di cottura, risalenti al periodo Mesolitico
e perfezionati nel Neolitico, con la preparazione di rudimentali focacce
e zuppe di cereali.
Dopo il Neolitico la prima fondamentale innovazione
sta nel processo di lievitazione del pane, le cui prime testimonianze
risalgono all’Egitto, e nella creazione dei primi ricettari conservati
su frammenti papiracei.
L’alimentazione di quei tempi era composta principalmente
da prodotti come cereali, legumi, olio, vino, mentre il consumo di carne
era strettamente legato allo schema religioso e sacrificale, inteso
come indice di ricchezza e celebrazione nei banchetti dei Greci e soprattutto
dei Romani (alquanto frugali nella Roma repubblicana, più ricchi nella
Roma imperiale, come testimonia Petronio nel suo "Satyricon" con la
famosissima descrizione di quello di Trimalcione).
Si passa poi al Medioevo, periodo in cui la depressione
economica, le carestie e le rigide regole ecclesiastiche impongono in
genere una cucina povera e frugale: fanno eccezione i pranzi consumati
dai ceti nobili che prevedono mescolanze di carni, selvaggina e pesce,
alternate con verdure, uova e formaggi, il tutto condito da salse e
vini.
Con il Rinascimento e la scoperta dell’America
vengono introdotti nuovi alimenti fino ad allora sconosciuti come patate,
pomodoro, cacao, mais e si affermano dei nuovi canoni di gusto, esposti
nei primi grandi trattati ad opera italiana e francese, come “Banchetti,
composizioni di vivande et apparecchio generale” di Cristoforo Messi
Sbugo (Ferrara, 1549) o La fleur de toute cuisine di Pierre Pidoux (1540).
Sono proprio queste due scuole, italiana e francese,
ad avere fortissimi contatti fra loro e a dettare le prime regole ufficiali
in campo gastronomico, introducendo anche l’uso della classificazione
dei vini a seconda delle qualità organolettiche e della loro provenienza
territoriale.
Nel Seicento la cucina italiana si diffonde in Francia
ed in tutta Europa grazie all’opera di Caterina dé Medici, con le famose
paste di Bartolomeo Scappi e l’arte del condire, mentre oltre le Alpi
il monaco benedettino francese Dom Perignon scopre il metodo per produrre
lo champagne.
Nel Settecento prevale invece il gusto francese che
prevede preparazioni più leggere e raffinate, arricchite da salse, spume,
creme, ma più ridotte nelle porzioni.
Risale poi ad inizio Ottocento (1803) l’Almanach
des gourmands, l’opera di Balthasar Grimod de la Reynière in cui vengono
segnalati i migliori luoghi di ristorazione parigini: a metà Ottocento
l’impulso alla ristorazione coinvolge soprattutto la Costa Azzurra,
dove Cesar Ritz avvia la riforma degli alberghi, nei quali si alternano
il servizio alla russa e quello alla francese, accompagnandosi al sorgere
della cucina internazionale.
Grandi nomi rappresentano comunque Italia e Francia,
con Pellegrino Artusi che riordina le nostre tradizioni regionali e
Auguste Escoffier che perfeziona la cucina sofisticata, fino ad arrivare
al dopoguerra e all’avvento dell’industrializzazione, due situazioni
che incidono fortemente sulle quotidiane abitudini alimentari, e che
rendono indispensabili pasti leggeri e veloci dovuti al mutare dei ritmi
di vita e di lavoro, il cui consumo deve restringere i tempi e mantenere
bassa la spesa (risalgono del resto agli anni ’70 l’introduzione e la
diffusione della moda dei fast food).
Nello stesso decennio si osservano una crescita e
una variazione qualitativa nei consumi alimentari da un lato con l’uso
di cibi precotti e preconfezionati e del catering per le grandi occasioni,
dall’altro con l’affermarsi sempre più forte della cosiddetta novelle
cuisine, che tende a dare grande importanza alla leggerezza delle preparazioni
e alla gradevolezza del loro aspetto.
Oggi possiamo inoltre assistere sia ad una crescente
rivalutazione delle singole particolarità proprie delle cucine locali
che riprendono dignità e vigore, sia al contempo alle grosse suggestioni
derivanti dalle cucine straniere, tra le quali la più diffusa nel nostro
Paese è di certo quella cinese.
Resta comunque inderogabilmente alla base della tradizione
italiana la cosiddetta “dieta mediterranea”, composta da paste a base
di cereali, legumi e olio d’oliva, con un caratteristico e gustoso elemento
di spicco che è rappresentato dalla nostra famosissima “pizza”, ormai
nota e diffusa in tutto il mondo in migliaia di varianti.