La storia vitivinicola piemontese parte da lontano, circa dal VI° secolo
a.C. quando i Liguri, popolo che da il nome alla Liguria ma che al tempo era
stanziato in un area assai più vasta comprendente anche il Piemonte,
decisero che il commercio del vino, importato dai Greci, andava accompagnato
dalla coltivazione della vite per poterlo anche produrre in loco.
L'arrivo dei Romani segnò una svolta sia per la maggior cura della vigna sia
per un'organizzazione, quasi maniacale, delle cantine.
Certo che negli anni bui del medioevo ci fu un arretramento delle tecniche
di coltivazione e di vinificazione ma sopravvisse quel tanto di cultura del
vino che all'epoca dei Savoia ci fu una ripresa non solo dell'attività
complessiva vitivinicola ma anche i prodomi di una valida esperienza di
guadagno economico.
La produzione maggiore dell'uva da tavola e dell'uva da vino piemontese
avviene in collina (per più del 90 per cento) sia che ci si riferisca a
estensione sia che il riferimento sia rivolto alla quantità.
Ciò non toglie che le varietà di uva e le tipologie di impianto siano molte
e diversificate secondo territorio (c'è pianura e montagna), altitudine e
microclima (ad esempio la zona lacustre).
L'allevamento comunque si basa su Guyot, Controspalliera, Pergola, senza
trascurare le modifiche di questi sistemi.
I vitigni, vanto nazionale e conosciuti in tutto il mondo, portano il nome
di Nebbiolo, Barbera, Moscato, Dolcetto, per citare i più diffusi ma anche i
nomi Brachetto e Arneis, anche se non hanno la stessa diffusione sono
egualmente famosi.
Ricordiamo che Barolo e Barbaresco sono prodotti con il nebbiolo e che
l'Asti, prodotto in ottanta milioni di bottiglie l'anno e classificato DOCG
all'estero è famoso quanto i vini spumanti francesi.