C’ERA UNA VOLTA... IL CIBO
Caldo, freddo, crudo, cotto accompagnato da
stuzzicanti salse o da eccellenti vini, aspro, amarognolo o infinitamente dolce,
il cibo in ogni sua sfaccettatura è da sempre una delle gioie
della vita, e non solo in quanto principio di sopravvivenza, ma sempre più
spesso perché simbolo di tradizione, sinonimo di conoscenza, dialogo, elemento
di scambio culturale, fattore di salute e armonia fisica.
Dietro al cibo si nasconde una vera e propria arte,
quella culinaria che affonda le sue radici nell’antichità, nella sapienza dei
grandi maestri, che al pari dei nostri attuali cheff, sapevano cogliere l’anima
di ogni alimento, realizzando veri e propri capolavori del palato
La primitiva forma di cucina fu la semplice cottura
del cibo, praticata fin dai tempi dell'uomo di Neanderthal, già mezzo milione di
anni fa: essa poteva rendere commestibili numerosi alimenti altrimenti
indigeribili accrescendone il valore nutritivo. Si passò poi ad arrostire la
carne sulla fiamma viva, poi sulla brace, che garantiva una cottura più uniforme
e una minore perdita di peso degli alimenti, infine si scoprì la cottura in
buche, dove la carne e le radici avvolte in foglie, subivano una specie di
cottura a vapore.
Nel VI millennio a.C. arrivarono i recipienti di
ceramica, le polente di cereali tostati e macinati grossolanamente, il pane non
lievitato.
I primi stufati di cereali e carne risalgono al
Neolitico, età in cui si scoprì anche il fenomeno della fermentazione, che
permise sia la produzione di pane lievitato (originario dell'Egitto) che quella
delle bevande alcoliche, la birra, originaria della Mesopotamia, il vino e
l'idromele.
Verso il IV secolo a.C. dalla Grecia si fece largo il
consumo di pesce: fritto, arrostito sulla brace, cotto al forno e in zuppa;
Archestrato di Gela ha tramandato prolisse ricette di piatti di pesce: triglie
condite con olio, formaggio e cumino, saraghi all'aceto e cacio, anguille cotte
in foglia di bietola. Si giunse poi alla cucina romana, che in contrasto con
quella sobria e rudimentale dell'età repubblicana, nell'età imperiale mostrò
una singolare e quasi morbosa attrazione per l'esotico e lo stravagante.
L'imperatore Vitellio, con testimone Svetonio, spese 25.000
scudi per un piatto a base di fegati di scaro, parti di murena, cervelli di
pavone e di fagiano.
Un caso limite, forse, ma anche volendo tralasciare
tali eccessi, l'impressione che si trae dal De re coquinaria, la raccolta
di ricette attribuita ad Apicio, e dalle altre fonti storiche e letterarie, è
quella di una cucina votata all'esuberanza e all'artificio. Manzo e agnello,
maiale e cinghiale, cervo e lepre, tonno e sgombro, uova e lenticchie sono
sommersi di miele, mosto, vino speziato e aceto; imbottiti di esuberanti miscele
di spezie ed erbe odorose; sopraffatti, infine, dal garum (o liquamen),
l'onnipresente e violenta salsa di pesce fermentato.
Cibo significava dunque inventiva, fantasia, Petronio
Arbitro nel Satyricon , affermava a tal proposito che l’abilità di un cuoco,
stava proprio nel contraffare e nel travestire gli alimenti: nel «cavare un
pesce da una vulva, un piccione da un pezzo di lardo, una tortora da un
prosciutto e una gallina da un culatello».
Alla fine del XIII secolo la cucina raggiunse il
livello tecnico dell'età romana, riscoprendo la cottura al forno, e gli umidi.
Gli anonimi ricettari trecenteschi italiani e quelli francesi, primo fra tutti
il Viandier di Taillevent, documentano una cucina che, pur non
rinunciando al primato delle carni, alle cotture multiple, al gusto
dolce-salato, e alle miscele di erbe e spezie, valorizzò le verdure, accolse
preparazioni di probabile origine popolare, fece uso di salse non ingombranti e,
più in generale, optò per una relativa linearità e sobrietà.
In età rinascimentale e barocca si tornò ad una
cucina radicalmente artificiosa, consacrata all'occultamento programmatico dei
sapori naturali.
Carni assoggettate a cotture ripetute, intrisi di
agresto e acqua di rose, rimpinzati di spezie, zuccherati senza risparmio,
ricoperti di salse complicate e invadenti.
Il cibo nella cura di sé stessi.
Oggi tutti questi antichi segreti culinari vengono
ripresi, rielaborati e conciliati con un’attenzione diversa e forse più matura
del cibo. Davanti alla sovrabbondanza e alla smisurata offerta di alimenti al
naturale o già precotti e confezionati, temendo lo spettro dei grassi in eccesso
o del colesterolo, la regola da seguire è quella di una giusta “educazione
alimentare”, primo passo per la prevenzione e la tutela della salute.
L’educazione alimentare coinvolge tutti,
indistintamente, sollecitando la formazione di una chiara consapevolezza
nutrizionale, poiché imparare ad alimentarsi in modo corretto, sapendo gestire
la propria alimentazione in modo autonomo, è la strada giusta per apprezzare di
più la buona cucina, senza sottovalutare i benefici psicologici che ne derivano:
massimizzare il piacere senza eccedere nel consumo per esserne soddisfatti. Il
cibo assume così anche valenza di benessere, inteso come gratificazione, gusto,
piacere.
Ricette: piccoli e preziosi tesori
Cucinare è saper scegliere, avere pazienza, gusto,
occhio ed un briciolo di pazzia. È un’arte che ha bisogno di attenzione e
capacità, va alimentata, custodita e soprattutto tramandata. Ogni ricetta ha il
suo segreto, ed ogni ricetta può diventare il punto di partenza per una nuova
creazione. Ma che cos’è veramente una ricetta?
La parola deriva dal latino "recepta",
participio passato del verbo "recipere", cioè ricevere;
in poche parole, ricetta è ciò che si riceve, un regalo, il ripetersi di un atto
d‘amore e ciò dovrebbe renderci felici. Far da mangiare in fondo, è il modo
attraverso il quale si esprime non solo la creatività, ma anche l‘amore e la
cura per gli altri, perché l‘empatia con un‘altra persona passa spesso
attraverso gli stessi gusti(un film, un luogo, un libro), una pietanza e quindi
una ricetta.
La ricetta dunque è
ciò che si riceve, si regala, si trasmette agli altri. E' una condivisione, uno
scambio, un dono, che in alcuni casi rimane celato dietro un segreto, o diventa
conoscenza per pochi pochissimi eletti.
Ricevere una
ricetta è come ricevere una iniziazione; chi sa fare quel piatto
partecipa ad una "liturgia": le azioni si devono susseguire secondo un certo
cerimoniale, dove le quantità e le proporzioni degli ingredienti sono in genere
rigide, proprio come nella liturgia. Una piccola variante, un elemento mancante,
una dose sbagliata pregiudicano il sapore conclusivo, quando non sono
addirittura fatali per l'esito finale. La ricetta è tradizione, è memoria del
passato e rientra a buon diritto fra gli elementi essenziali del patrimonio
culturale di una comunità e certe preparazioni sono fondamentali testimonianze
della vita e dell'ingegno degli uomini.
Il mondo editoriale oggi ha creato un vero e proprio
business intorno al settore culinario, e chiunque decida di avvicinarsi a questo
mondo ha solo l’imbarazzo della scelta tra le mille possibilità offerte: cd,
video ma soprattutto libri e riviste piene zeppe di ricette: divise per regioni,
materie prime, gusti o abbinamenti. Un tesoro inesauribile ed inestimabile che a
colpi di pubblicità imperversa ormai dovunque dalle edicole alle librerie, ad
Internet ovviamente.
Per fare chiarezza e dare quindi una scia da seguire
ai nostri utenti, noi di “Correre nel verde” abbiamo deciso (per quanto ci è
possibile) di stilare una lista dei ricettari più importanti del settore,
fornendo informazioni gustose ed esaurienti su tutto ciò che secondo noi fanno
di un semplice ricettario il vademecum della buona tavola.
Laura Spada
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