Il rigore dell'inverno con
il suo gelo ci costringe spesso a passare molte ore rintanati in
casa e per quei pochi coraggiosi che pur di non poltrire tra le mura
domestiche si riversano per le strade, con l'intento di fare una
passeggiata, il clima invernale ha per loro in serbo la tortura
degli spifferi d'aria fredda.
ganci”,
in Austria, Serbia con il termine “palenta”,
in Svizzera, in Romania come “mamaliga”, in Albania con il termine “harapash”,
in Bulgaria, in Brasile come “polenta”, Venezuela e Messico, in
Corsica come “pulenta”, in Uruguay, in Argentina, in Ucraina e nel
Caucaso con il termine “culesha”.
Michele Amari nel libro “Storia dei Vespri
Siciliani” riporta la notizia storica dell'utilizzo di polenta ed
acqua, da parte delle donne di Messina, per sfamare i soldati
intenti a difendere le mura cittadine dal feroce assedio delle
truppe francesi.
Gli ingredienti base per realizzare la polenta
sono sale, acqua e farina di cereali; quella di granoturco è
attualmente la più utilizzata in ambito europeo e da essa si ottiene
la polenta gialla.
I precedenti elementi saranno depositati in un
paiolo di rame (secondo tradizione) e cotti all'interno di esso per
circa un'ora; la polenta “bramata” è ottenuta macinando a pietra la
farina in modo fine o grosso e la modalità di macinatura dipende
dalla regione di origine e dalla tradizione del luogo.
Tipicamente la polenta viene servita coperta da
uno straccio e posizionata su una tavola circolare e a seconda dello
stato con cui è stata cucinata viene offerta ai propri invitati o a
fette o con un cucchiaio; la suddivisione della polenta a fette una
volta veniva effettuata dal basso verso l'alto per mezzo di un filo
di cotone.
Il termine polenta proviene da “puls”, una parola
latina che stava ad indicare la polenta di farro dove la stessa
parola farro deriva dal latino “far” ovvero farina; tale ingrediente
era l'elemento base della dieta utilizzata dalle popolazioni
trapiantate sul suolo italico.
Le antiche popolazioni elleniche utilizzavano
invece l'orzo.
La scoperta dell'America diffuse come elemento
base per la polenta il mais; precedentemente al posto di tale
ingrediente venivano utilizzati altre tipologie di cereali come la
segale, il miglio, il grano saraceno e il frumento oltre al farro e
all'orzo.
Odiernamente la polenta ottenuta con i cereali
testé elencati è una pietanza molto difficile da trovare sulle
tavole delle famiglie europee.
Oggi giorno si possono trovare in commercio
specifiche farine di granoturco precotte che riducono il tempo di
cottura portandolo a pochi minuti; ovviamente sussiste una qualità
proporzionale al risparmio di tempo di preparazione che va ad
incidere sulla compattezza e sul gusto della polenta classica.
A pennello calzerebbe il detto, modificato per
l'occorrenza, “regione che vai, polenta che trovi”; infatti a
seconda delle zone in cui ci si sposta all'interno della nostra
penisola si possono gustare diverse e prelibate varianti di polente.
Una tipologia di questo squisito piatto culinario
è sicuramente la polenta taragna, conosciuta in molte zone
semplicemente come taragna.
La taragna è un piatto tipico della cucina delle
zone delle valli bergamasche e bresciane, della Valtellina e della
Camuna.
Il nome di tale pietanza deriva dal “tarai” (“tarel”)
che era un lungo bastone utilizzato per girare la polenta quando si
trovava nel paiolo di rame, pronta per essere preparata.
L'elemento con cui viene cucinata è lo stesso
presente nelle altre molteplici polente dei rilievi lombardi; tale
ingrediente è un composto formato da farina di grano saraceno che
tende a scurire la polenta.
Ovviamente il colore giallo di tutte le altre
polente è dovuto all'impiego di un solo tipo di farina e nella
taragna durante il processo di cottura viene fatto assorbire il
formaggio.
Sulle rive del lago di Como proviene la “pulenta
uncia”; per prima cosa bisogna preparare un soffritto costituito da
aglio, burro (una dose molto sostanziosa), formaggio semüda e salvia
e
successivamente unirlo alla polenta ottenuta con
farina di mais e farina di grano saraceno nel paiolo.
In questo modo si ottiene un composto omogeneo.
Più molle si presenta la “pult” una polenta di
piccole dimensioni realizzata sempre sul lago di Como che si ricava
dal miscuglio di frumento e farina di mais; tale variante di polenta
viene preparata specialmente d'estate e la si può gustare
intingendola nel latte, preferibilmente freddo.
Le zone biellesi e valdostane possono vantare la
tradizionale “polenta concia”, conosciuta come “polenta grassa” e
tipicamente adatta in giornate invernali e fredde.
Tale polenta è preparata con ingredienti classici
dell'arte culinaria delle zone montane della nostra penisola quali
mais, formaggio e farina; inoltre non ha una vera e propria ricetta
ma è caratterizzata dalla principale procedura di squagliamento di
pezzetti di formaggio come burro fuso, toma o fontina (a seconda del
proprio palato).
La cultura culinaria valdostana prevede la
predisposizione anticipata sul piatto di formaggio grattugiato (come
il Grana Padano), pepe e burro allo stato fuso.
Dopodiché il piatto viene infornato per qualche
minuto in modo da permettere al formaggio stagionato di squagliarsi
e costituire una prelibata e croccante crosta.
A volte, a seconda della zona, si condisce con
una deliziosa fetta di lardo d'Arnad la polenta calda appena
sfornata.
Nelle zone del biellese il paiolo viene riempito
con il maccagno (o la toma) e il burro; nel piatto la polenta concia
viene depositata per mezzo di un mestolo e condita infine con una
dose sostanziosa di burro.
Nelle zone del Piacentino invece la pulëinta
consa viene realizzata tramite la polenta tagliata finemente a
strati, e impreziosita a sua volta con sugo e una copiosa spruzzata
di Grana Padano.
Un'altra variante di questo cibo è la polenta
saracena, tradizione culinaria della zona della Val Tanaro; il grano
saraceno da il nome a questa pietanza.
L'Italia settentrionale è la zona in cui è molto
diffusa la polenta con i ciccioli che a seconda dei settori in cui è
cucinata acquista diverse denominazioni.
Le modalità di preparazione della polenta con i
ciccioli sono principalmente due; nel primo caso più utilizzato in
generale avviene la farcitura di una fetta di polenta ben
abbrustolita con dei ciccioli (stessa procedura prevista per la
pulenta e grepule diffusa nella provincia mantovana) mentre nel
secondo modo alla polenta i ciccioli vengono aggiunti nelle diverse
fasi di cottura come nella tradizione locale della pulëinta e graséi
promulgata nel Piacentino.
La polenta di patate è invece molto conosciuta
nelle zone meridionali del Trentino; la preparazione di tale polenta
avviene cuocendo in acqua salata un po' di patate tagliate a
tocchetti che al giusto stato di cottura vengono setacciate insieme
all'aggiunta di farine o di farina di grano saraceno.
Infine si arricchisce il tutto con, formaggi,
soffritto di cipolle e cubetti di salame del posto; in alternativa
si può personalizzare il piatto con invenzione proprie e fantasiose.
Più centralmente e precisamente in Romagna si può
trovare la “polenta di Tossignano”che secondo tradizione, fin dal
1622, viene preparata annualmente; solo nel 1943 e nel 1944 non si
rispettò l'usanza per via della presenza tedesca sul suolo
romagnolo.
La polenta di Tossignano è di color giallo ed è
ottenuta mischiando vari tipi di farine di mais; il composto che si
ottiene solitamente è per metà costituito da grana grossa e l'altra
metà da grana fine.
Tale polenta viene presentata in tavola molto
dura e suddivisa in vari cubetti ottenuti con un filo di cotone e
impreziosita con un ragù preparato con carne di maiale e arricchita
con un'abbondante quantità di formaggio Grana.
La polenta nel centro della nostra penisola viene
cucinata in maniera più soffice e presentata su di un supporto
rettangolare molto grande in legno (pero o ciliegio) posto al centro
della tavolata.
Nel paiolo di rame, per circa 45 minuti, viene
cotta la polenta girata in modo continuo mediante lo "sguasciapallotti",
bastone di legno di orniello (noto anche nel nord Italia); tale
bastone è di forma diritta e finisce in un incrocio costituito da
quattro rami.
Tale forma permette allo strumento di poter
diluire i grumi della farina.
La polenta, in Toscana, viene modellata in altre
forme come i crostini oppure cuocendola in forno o friggendola;
classica è la pattona una polenta molto dolce ottenuta con farina di
castagne.
Una volta tale pietanza veniva utilizzata come
contorno da servire insieme al pesce, alla verdura o alla carne
mentre odiernamente la pattona è utilizzata come un cibo
appartenente alla categoria dolciaria.
Nella città di Roma la polenta viene servita con
un sugo arricchito da salsicce e spuntature di maiale; un altro modo
di cucinare la polenta nella capitale è quello di non guarnirla con
il sugo ma di insaporirla con olio, peperoncino, salsicce e aglio,
tutti quanti incorporati in un soffritto.
Quest'ultima variante deriva direttamente dalle
usanza culinarie della tradizione contadina che prevedeva di
consumare la polenta con olio e aglio.
In ambedue i casi si può impreziosire la polenta
con una sventagliata, sostanziosa, di pecorino grattugiato.
Nelle zone laziali, in Ciociaria e in Campania è
molto diffusa la polenta fritta; nel territorio partenopeo i cubetti
fritti di polenta prendono il nome di “scagliozzi” o “scagliuozzi” e
sono considerati come crocchè.
Come nel caso della polenta bianca tramandata nel
Lazio anche qui a Napoli tale piatto veniva considerato un classico
del panorama culinario “povero” di Napoli.
Ricetta della polenta tipica siciliana e lucana è
sicuramente “la Frascatula”; essa è una ricetta tradizionale che si
basa sull'utilizzo di una patata, strutto e farina di granturco.
La Frascatula si sposa ottimamente con cotechino,
o salsiccia o con del semplice sugo; in casi particolari si orna il
piatto con un po' di vino cotto.
Anche l'isola della Sardegna ha il suo piatto
tipico di polenta che prende il nome di “pulenta”, “farru” (o anche
polenta di orzo) o “purenta”.
Tale pietanza è stata tramandata fin dalla
civiltà nuragica come testimoniano i vari strumenti dell'epoca
rinvenuti, utilizzati per preparare tale piatto e i resti fossili di
organismi vegetali come le graminacee dalle quali si potevano
ottenere la farina.
Già in età romana gli abitanti della capitale
deliziavano il proprio palato con polenta di farro e orzo, inoltre
trasformarono la pianura del Campidano, in Sardegna, in terra per
poter coltivare le graminacee.
Uno dei cereali più coltivato dai romani era
proprio il grano per ottenere così un grande quantitativo di pane e
polenta; il massiccio incremento della produzione di grano conferì
alla terra sarda l'appellativo di "granaio di Roma".
Sull'isola oltre al grano duro, l'ingrediente
maggiormente usato, anche le ghiande e le castagne sono ultimamente
impiegate per cucinare la polenta; oltre agli ingredienti testé
elencati sono utilizzati anche segale, avena e riso.
La polenta alla sarda può essere preparata
impreziosendo la pietanza con prezzemolo, salsiccia, pancetta magra,
pecorino sardo, carota, aglio, cipolla e sedano.
La “umutsima” è una specie di polenta cucinata in
Burundi e preparata con farina di manioca e acqua; è un piatto non
salato e il suo nome appartiene all'idioma kirundi.
Storicamente la polenta appartiene a tempi molto
remoti e si può quasi dire che si è evoluta pari passi con l'uomo.
Già l'uomo preistorico si cibava si cereali
macinati tra due pietre cotti in acqua bollente; stesso procedimento
eseguito dagli assiri, gli egiziani e i babilonesi.
Ad esempio in una tomba egizia eretta a Tebe sono
stati trovati grani di mais avvalorando ancor di più la tesi della
diffusione di questa pietanza già ai tempi degli egiziani.
Con il termine “pultem” in epoca romana si
intendeva indicare proprio la polenta.
La pultem era realizzata con un elemento simile
al grano ma più duro ovvero il farro; tale ingrediente veniva prima
tritato e poi posto a cottura ottenendo così una polenta poco
compatta servita con carne e formaggio.
Il rapporto, duraturo ancora oggi, tra polenta e
mais si intensificò solo dopo la scoperta del continente americano;
infatti prima della scoperta dell'America gli alimenti base della
polenta erano il grano saraceno, il farro, il panico, il sorgo e il
miglio.
Il mais secondo leggenda prese il nome da “Mahiz”
parola pronunciata dagli indigeni Tainos per indicare i “grani
d'oro” scoperti da Cristoforo Colombo una volta approdato ad
Hispaniola (odierna isola dei Caraibi ospitante la Repubblica
Dominicana e Haiti); lo stesso Colombo denominerà “specie di fava”
il mais nelle lettere spedite alla famiglia reale spagnola.
Nel 1525 il mais prese piede in Europa ma già
precedentemente era stato diffuso in Portogallo e Spagna.
In Guatemala, Messico e Honduras i Maya con la
loro fiorente civiltà già coltivavano il mais (circa 3.000 anni fa);
ancora oggi il ciclo vitale di quelle popolazioni è legato
intrinsecamente al mais.
Una delle loro divinità più importanti, il dio
Xilotl, era legato al culto del mais.
Nel 1550-1555 nel Friuli già si parlava di
polenta preparata con farina gialla ma precedentemente le
popolazioni che abitavano in quella zona utilizzavano le “pultes
julianae” anticipando di molto le altre civiltà nell'uso dei
cereali.
Il granoturco è anche l'altra parola per
riferirsi al mais; sentendo questo nome ci si domanda il perché
della parola “turco” utilizzata per esprimere il cereale in
questione.
La spiegazione è da ricercare nelle usanze
lessicali del '500 che tendevano a generalizzare con la parola
“turco” tutti i vocaboli che si trovavano in stretta correlazione
con tutto ciò che era straniero e non “nazionale”.
Però questa non è l'unica spiegazione; infatti
un'altra ipotesi dell'utilizzo del termine turco per indicare il
granoturco è che coloro che coltivavano e si cibavano del mais
fossero a loro volta sotto il controllo dei turcomanni.
A Venezia, molto prima della scoperta
sensazionale di Cristoforo Colombo di un nuovo continente, venivano
prodotti i famosi zaleti, dei rustici dolcetti popolari , ottenuti
con farina gialla di mais.
Forse ci sono stati fisicamente scambi di
prodotti culinari tra Europa e Asia come testimoniarono viaggiatori
di origine tedesca che videro coltivazioni di mais lungo le pianure
del fiume Eufrate.
La data certa della diffusione del mais in Europa
è comunque da attribuire al XVII° secolo.
Le regioni in Italia in cui si diffuse la
polenta, chiamata anche "frumento a granelle grosse e gialle",
furono il Friuli e il Veneto.
Nelle paludi del Polinese e Friuli il mais fu
introdotto da Venezia e secondo Beggio Giovanni, studioso, nel 1554
si registrò la prima semina.
Essenzialmente la polenta costituiva l'alimento
base delle popolazioni meno abbienti che con questa pietanza
riuscivano a sfamarsi causando però il propagarsi della pellagra per
l'elevato uso di questo cibo.
Inizialmente si considerava la polenta un piatto
povero che da solo non conferiva all'individuo un apporto
nutrizionale notevole; odiernamente invece è considerata un
buonissimo elemento poiché costituito dal mais che contiene molte
proteine.
Per diventare un ottimo prodotto culinario
bisogna integrarla con alimenti secondari come fagioli, salsicce e
formaggio grattugiato e altri cibi.
Quindi sono proprio gli ingredienti considerati “contadini” a
rendere più ricchi di proteine, carboidrati, grassi, sali minerali e
vitamine i piatti che propongono come elemento base la polenta.