PRIVERNO
Priverno, cittadina di origine volsca fu conquistata
sul finire del IV secolo a.c. dai romani che ne fecero una zona di controllo
delle comunicazioni stradali fra le altre zone costiere e la vicina
valle del Sacco. Alla caduta dell’Impero Romano con il mutare delle
condizioni economiche ed ambientali, la cittadina fu in seguito abbandonata.
Nel 990 ritroviamo nella Priverno ormai definitivamente
arroccata sul Colle Rosso, troviamo la presenza vescovile, che sarà
essenziale per far rifiorire il cuore politico economico della città
stessa. Un incendio nel 1159 la condannò nuovamente rasandola al suolo.
Da questo sventurato evento, Priverno si riprenderà solo nell’età dei
comuni, durante il quale Priverno seppe conservare la propria indipendenza
conseguendo particolare influenza sulle Città vicine (Sezze e Terracina).
Nel XIX secolo si ebbe un impennata demografica cui seguì una diversa
tipologia abitativa: la sopraelevazione di quasi tutti gli edifici medievali.
Attualmente, il cuore del paese è rappresentato dalla suggestiva
piazza Giovanni XXIII sulla quale si affacciano, raggiungibili salendo
una imponente scalinata, lo splendido palazzo Comunale e la cattedrale
di S. Maria Annunziata. Notevole. Centro turistico e rinomato, ancora
oggi a Priverno è possibile visitare delle vecchie botteghe dove artigiani
specializzati svolgono gli antichi mestieri di una volta come la lavorazione
del rame e quella del tombolo.
Quella del ramaio, meglio conosciuto come
"’glio callararo"era un’attività essenziale per la vita quotidiana e
domestica poiché lavorando lo stagno,
il rame e l'alluminio, permetteva la fabbricazione di pentole, recipienti
vari, utensili da cucina, innaffiatoi, grondaie. Uno dei prodotti tipici
costruiti da questi artigiani erano delle grandi conchiglie, le callare,
(dalle quali deriva il termine dialettale "callararo"), recipienti che
servivano per fare il bucato ed erano usati dai contadini per fare il
formaggio. "Glio callararo" usava strumenti particolari per modellare
i metalli; martelli di legno (rovere o faggio) per non rovinare la latta,
e martelli di ferro per modificare il metallo, oltre all'incudine di
ferro o un ceppo di legno da supporto. L'artigiano lavorava soprattutto
su commissione, e nella tradizione popolare (come accadeva in tutto
il sud Italia), quando una ragazza doveva prendere marito, la sua famiglia
acquistava una batteria di pentole di varie dimensioni, come dote volta
a simboleggiare la situazione economica della famiglia della sposa.
Come tanti altri mestieri, anche questo, in seguito al processo di industrializzazione
è andato scomparendo, ed il rame è stato negli anni sostituito prima
dall'alluminio e successivamente dall'acciaio inox.
La lavorazione del tombolo ha origini più
recenti, e precisamente ha avuto origine nel 1964 con l'apertura dell'Istituto
Statale d'Arte "Antonio Baboto" e con la specializzazione di "merletto
e ricamo".
gli strumenti necessari per questo mestiere sono
il "portatombolo", un attrezzo di legno a forma cilindrica imbottito
e ricoperto con tela verde, i fuselli ovvero dei bastoncini che servono
per tenere in tensione i fili e con i quali viene fatto il ricamo e
gli spilli d'acciaio che servivano per fissare al portatombolo i fili
incrociati.
La tecnica insegnata all'Istituto d'Arte di Priverno
ha origini abruzzesi, più precisamente della città di Isernia, dalla
quale prende deriva la particolarità del tombolo iserniano, quella di
avere un disegno seguito: su un foglio di carta spessa viene disegnato
il motivo desiderato, tale foglio viene poi appoggiato sul "portatombolo"
dove con spillini, fuselli e filo di lino si comincia la lavorazione.
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