UNA GITA A … MANTOVA
Ci
sono giorni in cui Mantova sembra apparire come nata da una fiaba; sono i
giorni in cui la città si mostra ammantata di quella leggera nebbiolina che
cancella tutto ciò che l’uomo ha inventato e messo sulle case in godimento
della modernità; spariscono le antenne e i ripetitori, rimangono soltanto i
tetti neri e lucidi di umidità ed i contorni romantici e vaghi di un posto
magico.
Entrando in Mantova da Ponte San Giorgio, la parte nord
della città, il lago ti abbraccia e ti circonda con le sue calme acque; il
profilo della città è proprio lì, davanti a te, come sospeso su una nuvola e
la tua mente, rapita, comincia a vagare nel passato, lontano, di quando
Mantova era una meta importante di cultura e di storia.
C’erano i Gonzaga, c’era la cultura del bello, c’era lo
sfarzo, c’era tanto romanticismo.
Oggi i ciottoli della strada risuonano al passaggio delle
autovetture ma, forse lo stesso suono lo producevano le carrozze ed i carri;
è un suono che non disturba più di tanto, in quell’atmosfera ovattata e
smorzata.
Il parlare della gente è sommesso come si usa nella
"Bassa", tanto cara a Giovannino Guareschi; la gente ha fretta come se in
questa città lombarda mancasse il tempo per fare tutto, mentre la vita
scorre, forse, più lenta che altrove.
Scorre
lenta come quell’ultimo tratto di "Rio", ancora scoperto, che attraversa la
città e nel quale si specchiano le case più vecchie, dove il tempo ha fatto
nascere storie semplici e umili che non interessano a nessuno, ma che
formano le tradizioni di quella gente.
Gente simpatica, serena, dalla battuta pronta, un po’
guascona nella parlata, ma dalla grande generosità; gente operosa, cordiale,
semplice, apparentemente spensierata, con lo sguardo luminoso e ridente,
perso nella gioia della vita.
Patria di Virgilio, città ricca di arte e cultura, che ha
conosciuto tutte le più alte e nobili qualità del passato, si prospetta
avanti a te con gli edifici più rappresentativi dell’attività politica,
religiosa e culturale; sembra quasi di vedere le dame e i cortigiani
passeggiare romanticamente lungo il porticato che si affaccia sul lago per
ammirare l’incanto dell’ambiente naturale: aironi, gabbiani che volano tra
il verde delle canne lacustri e l’azzurro dell’acqua; e perché non proprio
quella grande Isabella, amante della musica e della poesia, che seppe fare
di Mantova un centro di cultura?
Isabella d’Este di Ferrara che, appena sedicenne, sposò
il duca di Mantova Francesco Gonzaga e seppe reggere il governo del ducato
con mano ferma e con abile diplomazia sia durante la prigionia del marito a
Venezia e sia dopo la sua morte.
Quella Isabella che incoraggiò e favorì in ogni modo la
formazione culturale ed artistica tanto da porre Mantova al livello delle
corti più prestigiose; quella Isabella che amava appartarsi nel suo
Studiolo, all’interno del Castello di S. Giorgio, scrigno di
opere pittoriche di Mantenga, Lorenzo Costa e Perugino (ora distribuite in
vari musei del mondo), nel quale l’eleganza e l’architettura rinascimentale
sono uno degli esempi più prestigiosi dell’arte italiana del ‘400.
Era il 1471 quando Andrea Mantenga, su incarico di
Ludovico Gonzaga, dava inizio ad uno dei suoi più nobili capolavori di
creatività e maturità nel Castello di S. Giorgio: la "Camera Picta"
più conosciuta, oggi, come la "Camera degli sposi".
Il vano non è molto grande ed era, probabilmente adibito,
a camera di rappresentanza, ma l’estro del Mantenga seppe ricreare effetti
ottici particolari tali da aprire prospettive più lontane e a comprendere in
un ambiente non eccessivamente ampio, l’intera famiglia Gonzaga, i
personaggi che compongono la corte, gli animali, le piante, il paesaggio, i
tendaggi in una rappresentazione armoniosa e plastica oltre che molto
realistica.
Quei Gonzaga che nel 1328 si sostituirono ai Bonacolsi
nel governo della città, ne occuparono le dimore, le ampliarono realizzando
così quel Palazzo Ducale che costituì per secoli il simbolo del loro
potere politico e della loro grandezza.
In realtà più che di un palazzo si tratta di un insieme
di edifici e di spazi in cui il visitatore rimane impressionato dalla
vastità e dalla misura della potenza cui giunse la famiglia Gonzaga e di
come la cultura e l’arte trovarono, presso tale corte, la culla naturale per
esprimersi.
I segreti e la storia dei Gonzaga ritornano in mente all’interno del
Palazzo Ducale, o poco più appresso dove è la casa di Rigoletto, il deforme
buffone di corte del duca di Mantova, e più che mai risuonano attinenti le
pagine più celebri dell’opera del grande musicista Giuseppe Verdi che
ambientò la nota vicenda nella Mantova del secolo XVI: "Questa o quella
per me pari sono"; "La donna è mobile"; "Cortigiani vil razza
dannata"; "Si, vendetta, tremenda vendetta".
Tutto questo perché la città è testimone di una lunga
tradizione culturale in rappresentazioni teatrali, concerti ed opere liriche
presentate al Teatro Sociale e al Teatro Bibiena.
Nella seconda metà del 1400, lavora a Mantova Leon
Battista Alberti nelle Chiese di Sant’Andrea e San Sebastiano, vi lavora
anche Luca Fancelli che, oltre a collaborare con l’Alberti, realizzerà il
cortile di S. Giorgio e la Domus Nova.
Per volontà del figlio di Isabella, poi, il duca Federico
II, arriva a Mantova anche Giulio Romano e vi realizzerà, a partire dal
1525, quell’opera grandiosa che trasformerà il volto della città: il
Palazzo del Te, le Pescherie, il Duomo, e tante altre costruzioni
compresa la sua casa.
Il Palazzo del Te, concepito in un primo tempo
come una dimora secondaria di modeste dimensioni, per intercessione dello
stesso Giulio Romano, si trasformò in un vero e proprio palazzo per
testimoniare nuovamente la grandezza e lo splendore della corte gonzaghesca.
L’impianto architettonico si sviluppa in lunghezza, come
se si adagiasse in mezzo al verde che lo cinge, fondendosi ed entrando in
simbiosi con la natura che lo circonda.
A Palazzo Te, i Gonzaga, predisponevano feste con
banchetti talmente ricchi da competere, senza sfigurare, con il banchetto
affrescato nella Sala di Psiche, la più famosa tra le sale di quel
Palazzo in cui Giulio Romano espresse il meglio della sua arte pittorica.
Mantova non suscita emozioni solo per quello che è stata
nel Medioevo e nel Rinascimento, una storia più vicina ai nostri tempi
sottolinea il fervore patriottico dei Martiri di Belfiore che con il
sacrificio della loro vita hanno onorato la città e l’ hanno riscattata,
come tutta la Lombardia, dal dominio austriaco.
E’ proprio al Cippo dei Martiri, inserito nel
territorio del Parco del Mincio, che la città incanta per l’ambiente
naturale; alcune tappe all’interno del Parco che abbraccia le rive dei tre
laghi, il Superiore, quello di Mezzo e l’Inferiore, tra il verde della
vegetazione e la sterminata fioritura dei fiori di loto del periodo estivo
e, tanto altro ancora, fanno amare Mantova con la sua arte e le sue antiche
tradizioni.
Diana Onni
Foto di Lucia Lasagna
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