Regola dei monaci
Prologo
1. Ascolta,
figlio mio, gli insegnamenti del maestro e apri docilmente il tuo cuore; accogli
volentieri i consigli ispirati dal suo amore paterno e mettili in pratica con
impegno,
2. in modo che
tu possa tornare attraverso la solerzia dell'obbedienza a Colui dal quale ti sei
allontanato per l'ignavia della disobbedienza.
3. Io mi
rivolgo personalmente a te, chiunque tu sia, che, avendo deciso di rinunciare
alla volontà propria, impugni le fortissime e valorose armi dell'obbedienza per
militare sotto il vero re, Cristo Signore.
4. Prima di
tutto chiedi a Dio con costante e intensa preghiera di portare a termine quanto
di buono ti proponi di compiere,
5. affinché,
dopo averci misericordiosamente accolto tra i suoi figli, egli non debba un
giorno adirarsi per la nostra indegna condotta.
6. Bisogna
dunque servirsi delle grazie che ci concede per obbedirgli a ogni istante con
tanta fedeltà da evitare, non solo che egli giunga a diseredare i suoi figli
come un padre sdegnato,
7. ma anche
che, come un sovrano tremendo, irritato dalle nostre colpe, ci condanni alla
pena eterna quali servi infedeli che non lo hanno voluto seguire nella gloria.
8. Alziamoci,
dunque, una buona volta, dietro l'incitamento della Scrittura che esclama: "E'
ora di scuotersi dal sonno!"
9. e aprendo
gli occhi a quella luce divina ascoltiamo con trepidazione ciò che ci ripete
ogni giorno la voce ammonitrice di Dio:
10. " Se oggi
udrete la sua voce, non indurite il vostro cuore!"
11. e ancora: "
Chi ha orecchie per intendere, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese!".
12. E che dice?
" Venite, figli, ascoltatemi, vi insegnerò il timore di Dio.
13. Correte,
finché avete la luce della vita, perché non vi colgano le tenebre della morte".
14. Quando poi
il Signore cerca il suo operaio tra la folla, insiste dicendo:
15. "Chi è
l'uomo che vuole la vita e arde dal desiderio di vedere giorni felici?".
16. Se a queste
parole tu risponderai: "Io!", Dio replicherà:
17. "Se vuoi
avere la vita, quella vera ed eterna, guarda la tua lingua dal male e le tue
labbra dalla menzogna. Allontanati dall'iniquità, opera il bene, cerca la pace e
seguila".
18. Se agirete
così rivolgerò i miei occhi verso di voi e le mie orecchie ascolteranno le
vostre preghiere, anzi, prima ancora che mi invochiate vi dirò: "Ecco sono
qui!".
19. Fratelli
carissimi, che può esserci di più dolce per noi di questa voce del Signore che
ci chiama?
20. Guardate
come nella sua misericordiosa bontà ci indica la via della vita!
21. Armati
dunque di fede e di opere buone, sotto la guida del Vangelo, incamminiamoci per
le sue vie in modo da meritare la visione di lui, che ci ha chiamati nel suo
regno.
22. Se, però,
vogliamo trovare dimora sotto la sua tenda, ossia nel suo regno, ricordiamoci
che è impossibile arrivarci senza correre verso la meta, operando il bene.
23. Ma
interroghiamo il Signore, dicendogli con le parole del profeta: "Signore, chi
abiterà nella tua tenda e chi dimorerà sul tuo monte santo?".
24. E dopo
questa domanda, fratelli, ascoltiamo la risposta con cui il Signore ci indica la
via che porta a quella tenda:
25. "Chi
cammina senza macchia e opera la giustizia;
26. chi
pronuncia la verità in cuor suo e non ha tramato inganni con la sua lingua;
27. chi non ha
recato danni al prossimo, né ha accolto l'ingiuria lanciata contro di lui";
28. chi ha
sgominato il diavolo, che malignamente cercava di sedurlo con le sue
suggestioni, respingendolo dall'intimo del proprio cuore e ha impugnato
coraggiosamente le sue insinuazioni per spezzarle su Cristo al loro primo
sorgere;
29. gli uomini
timorati di Dio, che non si insuperbiscono per la propria buona condotta e,
pensando invece che quanto di bene c'è in essi non è opera loro, ma di Dio,
30. lo esaltano
proclamando col profeta: "Non a noi, Signore, non a noi, ma al tuo nome dà
gloria!".
31. Come fece
l'apostolo Paolo, che non si attribuì alcun merito della sua predicazione, ma
disse:" Per grazia di Dio sono quel che sono"
32. e ancora:
"chi vuole gloriarsi, si glori nel Signore".
33. Perciò il
Signore stesso dichiara nel Vangelo: "Chi ascolta da me queste parole e le mette
in pratica, sarà simile a un uomo saggio il quale edificò la sua casa sulla
roccia.
34. E vennero
le inondazioni e soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non
cadde, perché era fondata sulla roccia".
35. Dopo aver
concluso con queste parole il Signore attende che, giorno per giorno,
rispondiamo con i fatti alle sue sante esortazioni.
36. Ed è
proprio per permetterci di correggere i nostri difetti che ci vengono
dilazionati i giorni di questa vita
37. secondo le
parole dell'Apostolo: "Non sai che con la sua pazienza Dio vuole portarti alla
conversione?"
38. Difatti il
Signore misericordioso afferma: "Non voglio la morte del peccatore, ma che si
converta e viva".
39. Dunque,
fratelli miei, avendo chiesto al Signore a chi toccherà la grazia di dimorare
nella sua tenda, abbiamo appreso quali sono le condizioni per rimanervi, purché
sappiamo comportarci nel modo dovuto.
40. Perciò
dobbiamo disporre i cuori e i corpi nostri a militare sotto la santa obbedienza.
41. Per tutto
quello poi, di cui la nostra natura si sente incapace, preghiamo il Signore di
aiutarci con la sua grazia.
42. E se
vogliamo arrivare alla vita eterna, sfuggendo alle pene dell'inferno,
43. finche c'è
tempo e siamo in questo corpo e abbiamo la possibilità di compiere tutte queste
buone azioni,
44. dobbiamo
correre e operare adesso quanto ci sarà utile per l'eternità.
45. Bisogna
dunque istituire una scuola del servizio del Signore
46. nella quale
ci auguriamo di non prescrivere nulla di duro o di gravoso;
47. ma se, per
la correzione dei difetti o per il mantenimento della carità, dovrà introdursi
una certa austerità, suggerita da motivi di giustizia,
48. non ti far
prendere dallo scoraggiamento al punto di abbandonare la via della salvezza, che
in principio è necessariamente stretta e ripida.
49. Mentre
invece, man mano che si avanza nella vita monastica e nella fede, si corre per
la via dei precetti divini col cuore dilatato dall'indicibile sovranità
dell'amore.
50. Così,
non allontanandoci mai dagli insegnamenti di Dio e perseverando fino alla morte
nel monastero in una fedele adesione alla sua dottrina, partecipiamo con la
nostra sofferenza ai patimenti di Cristo per meritare di essere associati al suo
regno.
Fine del
Prologo
Capitolo I - Le
varie categorie di monaci
1. E' noto che
ci sono quattro categorie di monaci.
2. La prima è
quella dei cenobiti, che vivono in un monastero, militando sotto una regola e un
abate.
3. La seconda è
quella degli anacoreti o eremiti, ossia di coloro che non sono mossi
dall'entusiastico fervore dei principianti, ma sono stati lungamente provati nel
monastero,
4. dove con
l'aiuto di molti hanno imparato a respingere le insidie del demonio;
5. quindi,
essendosi bene addestrati tra le file dei fratelli al solitario combattimento
dell'eremo, sono ormai capaci, con l'aiuto di Dio, di affrontare senza il
sostegno altrui la lotta corpo a corpo contro le concupiscenze e le passioni.
6. La terza
categoria di monaci, veramente detestabile è formata dai sarabaiti: molli come
piombo, perché non sono stati temprati come l'oro nel crogiolo dell'esperienza
di una regola,
7. costoro
conservano ancora le abitudini mondane, mentendo a Dio con la loro tonsura.
8. A due a due,
a tre a tre o anche da soli, senza la guida di un superiore, chiusi nei loro
ovili e non in quello del Signore, hanno come unica legge l'appagamento delle
proprie passioni,
9. per cui
chiamano santo tutto quello che torna loro comodo, mentre respingono come
illecito quello che non gradiscono.
10. C'è infine
una quarta categoria di monaci, che sono detti girovaghi, perché per tutta la
vita passano da un paese all'altro, restando tre o quattro giorni come ospiti
nei vari monasteri,
11. sempre
vagabondi e instabili, schiavi delle proprie voglie e dei piaceri della gola,
peggiori dei sarabaiti sotto ogni aspetto.
12. Ma riguardo
alla vita sciagurata di tutti costoro è preferibile tacere piuttosto che
parlare.
13. Lasciamoli
quindi da parte e con l'aiuto del Signore occupiamoci dell'ordinamento della
prima categoria, ossia quella fortissima e valorosa dei cenobiti.
Capitolo II -
L'Abate
1. Un abate
degno di stare a capo di un monastero deve sempre avere presenti le esigenze
implicite nel suo nome, mantenendo le proprie azioni al livello di superiorità
che esso comporta.
2. Sappiamo
infatti per fede che in monastero egli tiene il posto di Cristo, poiché viene
chiamato con il suo stesso nome,
3. secondo
quanto dice l'Apostolo: "Avete ricevuto lo Spirito di figli adottivi, che vi fa
esclamare: Abba, Padre!"
4. Perciò
l'abate non deve insegnare, né stabilire o ordinare nulla di contrario alle
leggi del Signore,
5. anzi il suo
comando e il suo insegnamento devono infondere nelle anime dei discepoli il
fermento della santità.
6. Si ricordi
sempre che nel tremendo giudizio di Dio dovrà rendere conto tanto del suo
insegnamento, quanto dell'obbedienza dei discepoli
7. e sappia che
il pastore sarà considerato responsabile di tutte le manchevolezze che il padre
di famiglia avrà potuto riscontrare nel gregge.
8. D'altra
parte è anche vero che, se il pastore avrà usato ogni diligenza nei confronti di
un gregge irrequieto e indocile, cercando in tutti i modi di correggerne la
cattiva condotta,
9. verrà
assolto nel divino giudizio e potrà ripetere con il profeta al Signore: "Non ho
tenuto la tua giustizia nascosta in fondo al cuore, ma ho proclamato la tua
verità e la tua salvezza; essi tuttavia mi hanno disprezzato, ribellandosi
contro di me".
10. E allora la
giusta punizione delle pecore ribelli sarà la morte, che avrà finalmente ragione
della loro ostinazione.
11. Dunque,
quando uno assume il titolo di Abate deve imporsi ai propri discepoli con un
duplice insegnamento,
12. mostrando
con i fatti più che con le parole tutto quello che è buono e santo: in altri
termini, insegni oralmente i comandamenti del Signore ai discepoli più sensibili
e recettivi, ma li presenti esemplificati nelle sue azioni ai più tardi e
grossolani.
13. Confermi
con la sua condotta che bisogna effettivamente evitare quanto ha presentato ai
discepoli come riprovevole, per non correre il rischio di essere condannato dopo
aver predicato agli altri
14. e di non
sentirsi dire dal Signore per i suoi peccati: "Come ti arroghi di esporre i miei
precetti e di avere sempre la mia alleanza sulla bocca, tu che hai in odio la
disciplina e ti getti le mie parole dietro le spalle?"
15. e ancora:
"Tu che vedevi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, non ti sei accorto
della trave nel tuo".
16. Si guardi
dal fare preferenze nelle comunità:
17. non ami
l'uno più dell'altro, a eccezione di quello che avrà trovato migliore nella
condotta e nell'obbedienza:
18. non
anteponga un monaco proveniente da un ceto elevato a uno di umili origini, a
meno che non ci sia un motivo ragionevole per stabilire una tale precedenza.
19. Ma se, per
ragioni di giustizia, riterrà di dover agire così lo faccia per chiunque;
altrimenti ciascuno conservi il proprio posto,
20. perché, sia
il servo che il libero, tutti siamo una cosa sola in Cristo e, militando sotto
uno stesso Signore, prestiamo un eguale servizio. Infatti, "dinanzi a Dio non ci
sono parzialità"
21. e una cosa
sola ci distingue presso di lui: se siamo umili e migliori degli altri nelle
opere buone.
22. Quindi
l'abate ami tutti allo stesso modo, seguendo per ciascuno una medesima regola di
condotta basata sui rispettivi meriti.
23. Per quanto
riguarda poi la direzione dei monaci, bisogna che tenga presente la norma
dell'apostolo: "Correggi, esorta, rimprovera"
24. e
precisamente, alternando i rimproveri agli incoraggiamenti, a seconda dei tempi
e delle circostanze, sappia dimostrare la severità del maestro insieme con la
tenerezza del padre.
25. In altre
parole, mentre deve correggere energicamente gli indisciplinati e gli
irrequieti, deve esortare amorevolmente quelli che obbediscono con docilità a
progredire sempre più. Ma è assolutamente necessario che rimproveri severamente
e punisca i negligenti e coloro che disprezzano la disciplina.
26. Non deve
chiudere gli occhi sulle eventuali mancanze, ma deve stroncarle sul nascere,
ricordandosi della triste fine di Eli, sacerdote di Silo.
27. Riprenda,
ammonendoli una prima e una seconda volta, i monaci più docili e assennati,
28. ma castighi
duramente i riottosi, gli ostinati, i superbi e i disobbedienti, appena tentano
di trasgredire, ben sapendo che sta scritto: "Lo stolto non si corregge con le
parole"
29. e anche:
"Battendo tuo figlio con la verga, salverai l'anima sua dalla morte".
30. L'abate
deve sempre ricordarsi quel che è e come viene chiamato, nella consapevolezza
che sono maggiori le esigenze poste a colui al quale è stato affidato di più.
31. Bisogna che
prenda chiaramente coscienza di quanto sia difficile e delicato il compito che
si è assunto di dirigere le anime e porsi al servizio dei vari temperamenti,
incoraggiando uno, rimproverando un altro e correggendo un terzo:
32. perciò si
conformi e si adatti a tutti, secondo la rispettiva indole e intelligenza, in
modo che, invece di aver a lamentare perdite nel gregge affidato alle sue cure,
possa rallegrarsi per l'incremento del numero dei buoni.
33. Soprattutto
si guardi dal perdere di vista o sottovalutare la salvezza delle anime, di cui è
responsabile, per preoccuparsi eccessivamente delle realtà terrene, transitorie
e caduche,
34. ma pensi
sempre che si è assunto l'impegno di dirigere delle anime, di cui un giorno
dovrà rendere conto
35. e non
cerchi una scusante nelle eventuali difficoltà economiche, ricordandosi che sta
scritto :"Cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste
cose vi saranno date in soprappiù"
36. e anche:
"Nulla manca a coloro che lo temono".
37. Sappia
inoltre che chi si assume l'impegno di dirigere le anime deve prepararsi a
renderne conto
38. e stia
certo che, quanti sono i monaci di cui deve prendersi cura, tante solo le anime
di cui nel giorno del giudizio sarà ritenuto responsabile di fronte a Dio,
naturalmente oltre che della propria.
39. Così nel
continuo timore dell'esame a cui verrà sottoposto il pastore riguardo alle
pecore che gli sono state affidate mentre si preoccupa del rendiconto altrui, si
fa più attento al proprio
40. e corregge
i suoi personali difetti, aiutando gli altri a migliorarsi con le sue
ammonizioni.
Capitolo III -
La consultazione della comunità
1. Ogni volta
che in monastero bisogna trattare qualche questione importante, l'abate convochi
tutta la comunità ed esponga personalmente l'affare in oggetto.
2. Poi, dopo
aver ascoltato il parere dei monaci, ci rifletta per proprio conto e faccia quel
che gli sembra più opportuno.
3. Ma abbiamo
detto di consultare tutta la comunità, perché spesso è proprio al più giovane
che il Signore rivela la soluzione migliore.
4. I monaci poi
esprimano il loro parere con tutta umiltà e sottomissione, senza pretendere di
imporre a ogni costo le loro vedute;
5. comunque la
decisione spetta all'abate e, una volta che questi avrà stabilito ciò che è più
conveniente, tutti dovranno obbedirgli.
6. D'altra
parte, come è doveroso che i discepoli obbediscano al maestro, così è bene che
anche lui predisponga tutto con prudenza ed equità.
7. Dunque in
ogni cosa tutti seguano come maestra la Regola e nessuno osi allontanarsene.
8. Nessun
membro della comunità segua la volontà propria,
9. né si
azzardi a contestare sfacciatamente con l'abate, dentro o fuori del monastero.
10. Chi si
permette un simile contegno, sia sottoposto alle punizioni previste dalla
Regola.
11. L'abate
però dal canto suo operi tutto col timor di Dio e secondo le prescrizioni della
Regola, ben sapendo che di tutte le sue decisioni dovrà certamente rendere conto
a Dio, giustissimo giudice.
12. Se poi in
monastero si devono trattare questioni di minore importanza, si serva solo del
consiglio dei più anziani,
13. come sta
scritto: "Fa' tutto col consiglio e dopo non avrai a pentirtene".
Capitolo IV -
Gli strumenti delle buone opere
1. Prima di
tutto amare il Signore Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le
forze;
2. poi il
prossimo come se stesso.
3. Quindi non
uccidere,
4. non
commettere adulterio,
5. non rubare,
6. non avere
desideri illeciti,
7. non mentire;
8. onorare
tutti gli uomini,
9. e non fare
agli altri ciò che non vorremmo fosse fatto a noi.
10. Rinnegare
completamente se stesso. per seguire Cristo;
11. mortificare
il proprio corpo,
12. non cercare
le comodità,
13. amare il
digiuno.
14. Soccorrere
i poveri,
15. vestire gli
ignudi,
16. visitare
gli infermi,
17. seppellire
i morti ;
18. alleviare
tutte le sofferenze,
19. consolare
quelli che sono nell'afflizione.
20. Rendersi
estraneo alla mentalità del mondo;
21. non
anteporre nulla all'amore di Cristo.
22. Non dare
sfogo all'ira,
23. non serbare
rancore,
24. non covare
inganni nel cuore,
25. non dare un
falso saluto di pace,
26. non
abbandonare la carità.
27. Non giurare
per evitare spergiuri,
28. dire la
verità con il cuore e con la bocca,
29. non rendere
male per male,
30. non fare
torti a nessuno, ma sopportare pazientemente quelli che vengono fatti a noi;
31. amare i
nemici,
32. non
ricambiare le ingiurie e le calunnie, ma piuttosto rispondere con la benevolenza
verso i nostri offensori,
33. sopportare
persecuzioni per la giustizia.
34. Non essere
superbo,
35. non dedito
al vino,
36. né vorace,
37. non
dormiglione,
38. né pigro;
39. non
mormoratore,
40. né
maldicente.
41. Riporre in
Dio la propria speranza,
42. attribuire
a Lui e non a sé quanto di buono scopriamo in noi,
43. ma essere
consapevoli che il male viene da noi e accettarne la responsabilità.
44. Temere il
giorno del giudizio,
45. tremare al
pensiero dell'inferno,
46. anelare con
tutta l'anima alla vita eterna,
47.
prospettarsi sempre la possibilità della morte.
48. Vigilare
continuamente sulle proprie azioni,
49. essere
convinti che Dio ci guarda dovunque.
50. Spezzare
subito in Cristo tutti i cattivi pensieri che ci sorgono in cuore e manifestarli
al padre spirituale.
51. Guardarsi
dai discorsi cattivi o sconvenienti,
52. non amare
di parlar molto,
53. non dire
parole leggere o ridicole,
54. non ridere
spesso e smodatamente.
55. Ascoltare
volentieri la lettura della parola di Dio,
56. dedicarsi
con frequenza alla preghiera;
57. in questa
confessare ogni giorno a Dio con profondo dolore le colpe passate
58. e cercare
di emendarsene per l'avvenire.
59. Non
appagare i desideri della natura corrotta,
60. odiare la
volontà propria,
61. obbedire in
tutto agli ordini dell'abate, anche se - Dio non voglia! - questi agisse
diversamente da come parla, ricordando quel precetto del Signore:" Fate quello
che dicono, ma non fate quello che fanno".
62. Non voler
esser detto santo prima di esserlo, ma diventare veramente tale, in modo che poi
si possa dirlo con più fondamento.
63. Adempiere
quotidianamente i comandamenti di Dio.
64. Amare la
castità,
65. non odiare
nessuno,
66. non essere
geloso,
67. non
coltivare l'invidia,
68. non amare
le contese,
69. fuggire
l'alterigia
70. e
rispettare gli anziani,
71. amare i
giovani,
72. pregare per
i nemici nell'amore di Cristo,
73.
nell'eventualità di un contrasto con un fratello, stabilire la pace prima del
tramonto del sole.
74. E non
disperare mai della misericordia di Dio.
75. Ecco,
questi sono gli strumenti dell'arte spirituale!
76. Se li
adopereremo incessantemente di giorno e di notte e li riconsegneremo nel giorno
del giudizio, otterremo dal Signore la ricompensa promessa da lui stesso:
77. "Né occhio
ha mai visto, né orecchio ha udito, né mente d'uomo ha potuto concepire ciò che
Dio ha preparato a coloro che lo amano".
78. L'officina
poi in cui bisogna usare con la massima diligenza questi strumenti è formata dai
chiostri del monastero e dalla stabilità nella propria famiglia monastica.
Capitolo V -
L'obbedienza
1. Il segno più
evidente dell'umiltà è la prontezza nell'obbedienza.
2. Questa è
caratteristica dei monaci che non hanno niente più caro di Cristo
3. e, a motivo
del servizio santo a cui si sono consacrati o anche per il timore dell'inferno e
in vista della gloria eterna,
4. appena
ricevono un ordine dal superiore non si concedono dilazioni nella sua
esecuzione, come se esso venisse direttamente da Dio.
5. E' di loro
che il Signore dice: " Appena hai udito, mi hai obbedito"
6. mentre
rivolgendosi ai superiori dichiara: "Chi ascolta voi, ascolta me".
7. Quindi,
questi monaci, che si distaccano subito dalle loro preferenze e rinunciano alla
propria volontà,
8. si liberano
all'istante dalle loro occupazioni, lasciandole a mezzo, e si precipitano a
obbedire, in modo che alla parola del superiore seguano immediatamente i fatti.
9. Quasi allo
stesso istante, il comando del maestro e la perfetta esecuzione del discepolo si
compiono di comune accordo con quella velocità che è frutto del timor di Dio:
10. così in
coloro che sono sospinti dal desiderio di raggiungere la vita eterna.
11. Essi si
slanciano dunque per la via stretta della quale il Signore dice: "Angusta è la
via che conduce alla vita";
12. perciò non
vivono secondo il proprio capriccio né seguono le loro passioni e i loro gusti,
ma procedono secondo il giudizio e il comando altrui; rimangono nel monastero e
desiderano essere sottoposti a un abate.
13. Senza
dubbio costoro prendono a esempio quella sentenza del Signore che dice: "Non
sono venuto a fare la mia volontà, ma quella di colui che mi ha mandato".
14. Ma questa
obbedienza sarà accetta a Dio e gradevole agli uomini, se il comando ricevuto
verrà eseguito senza esitazione, lentezza o tiepidezza e tantomeno con
mormorazioni o proteste,
15. perché
l'obbedienza che si presta agli uomini è resa a Dio, come ha detto lui stesso:
"Chi ascolta voi, ascolta me".
16. I monaci
dunque devono obbedire con slancio e generosità, perché "Dio ama chi dà
lietamente".
17. Se infatti
un fratello obbedisce malvolentieri e mormora, non dico con la bocca, ma anche
solo con il cuore,
18. pur
eseguendo il comando, non compie un atto gradito a Dio, il quale scorge 1a
mormorazione nell'intimo della sua coscienza;
19. quindi, con
questo comportamento, egli non si acquista alcun merito, anzi, se non ripara e
si corregge, incorre nel castigo comminato ai mormoratori.
Capitolo VI -
L'amore del silenzio
1. Facciamo
come dice il profeta: "Ho detto: Custodirò le mie vie per non peccare con la
lingua; ho posto un freno sulla mia bocca, non ho parlato, mi sono umiliato e ho
taciuto anche su cose buone".
2. Se con
queste parole egli dimostra che per amore del silenzio bisogna rinunciare anche
ai discorsi buoni, quanto più è necessario troncare quelli sconvenienti in vista
della pena riserbata al peccato!
3. Dunque
l'importanza del silenzio è tale che persino ai discepoli perfetti bisogna
concedere raramente il permesso di parlare, sia pure di argomenti buoni, santi
ed edificanti, perché sta scritto:
4. "Nelle molte
parole non eviterai il peccato"
5. e altrove:
"Morte e vita sono in potere della lingua".
6. Se infatti
parlare e insegnare é compito del maestro, il dovere del discepolo è di tacere e
ascoltare.
7. Quindi, se
bisogna chiedere qualcosa al superiore, lo si faccia con grande umiltà e
rispettosa sottomissione.
8. Escludiamo
poi sempre e dovunque la trivialità, le frivolezze e le buffonerie e non
permettiamo assolutamente che il monaco apra la bocca per discorsi di questo
genere.
Capitolo VII -
L'umiltà
1. La sacra
Scrittura si rivolge a noi, fratelli, proclamando a gran voce: "Chiunque si
esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato".
2. Così
dicendo, ci fa intendere che ogni esaltazione è una forma di superbia,
3. dalla quale
il profeta mostra di volersi guardare quando dice: "Signore, non si è esaltato
il mio cuore, né si è innalzato il mio sguardo, non sono andato dietro a cose
troppo grandi o troppo alte per me".
4. E allora?
"Se non ho nutrito sentimenti di umiltà, se il mio cuore si è insuperbito, tu mi
tratterai come un bimbo svezzato dalla propria madre".
5. Quindi,
fratelli miei, se vogliamo raggiungere la vetta più eccelsa dell'umiltà e
arrivare rapidamente a quella glorificazione celeste, a cui si ascende
attraverso l'umiliazione della vita presente,
6. bisogna che
con il nostro esercizio ascetico innalziamo la scala che apparve in sogno a
Giacobbe e lungo la quale questi vide scendere e salire gli angeli.
7. Non c'è
dubbio che per noi quella discesa e quella salita possono essere interpretate
solo nel senso che con la superbia si scende e con l'umiltà si sale.
8. La scala
così eretta, poi, è la nostra vita terrena che, se il cuore è umile, Dio solleva
fino al cielo;
9. noi
riteniamo infatti che i due lati della scala siano il corpo e l'anima nostra,
nei quali la divina chiamata ha inserito i diversi gradi di umiltà o di
esercizio ascetico per cui bisogna salire.
10. Dunque il
primo grado dell'umiltà è quello in cui, rimanendo sempre nel santo timor di
Dio, si fugge decisamente la leggerezza e la dissipazione,
11. si tengono
costantemente presenti i divini comandamenti e si pensa di continuo all'inferno,
in cui gli empi sono puniti per i loro peccati, e alla vita eterna preparata
invece per i giusti.
12. In altre
parole, mentre si astiene costantemente dai peccati e dai vizi dei pensieri,
della lingua, delle mani, dei piedi e della volontà propria, come pure dai
desideri della carne,
13. l'uomo deve
prendere coscienza che Dio lo osserva a ogni istante dal cielo e che, dovunque
egli si trovi, le sue azioni non sfuggono mai allo sguardo divino e sono di
continuo riferite dagli angeli.
14. E' ciò che
ci insegna il profeta, quando mostra Dio talmente presente ai nostri pensieri da
affermare: "Dio scruta le reni e i cuori"
15. come pure:
"Dio conosce i pensieri degli uomini".
16. Poi
aggiunge: "Hai intuito di lontano i miei pensieri"
17. e infine:
"Il pensiero dell'uomo sarà svelato dinanzi a te".
18. Quindi, per
potersi coscienziosamente guardare dai cattivi pensieri, bisogna che il monaco
vigile e fedele ripeta sempre tra sé: "Sarò senza macchia dinanzi a lui, solo se
mi guarderò da ogni malizia".
19. Ci è poi
vietato di fare la volontà propria, dato che la Scrittura ci dice: "Allontanati
dalle tue voglie"
20. e per di
più nel Pater chiediamo a Dio che in noi si compia la sua volontà.
21. Perciò ci
viene giustamente insegnato di non fare la nostra volontà, evitando tutto quello
di cui la Scrittura dice: "Ci sono vie che agli uomini sembrano diritte, ma che
si sprofondano negli abissi dell'inferno"
22. e anche nel
timore di quanto è stato affermato riguardo ai negligenti: "Si sono corrotti e
sono divenuti spregevoli nella loro dissolutezza".
23. Quanto poi
alle passioni della nostra natura decaduta, bisogna credere ugualmente che Dio è
sempre presente, secondo il detto del profeta: "Ogni mio desiderio sta davanti a
te".
24. Dobbiamo
quindi guardarci dalle passioni malsane, perché la morte è annidata sulla soglia
del piacere.
25. Per questa
ragione la Scrittura prescrive: "Non seguire le tue voglie".
26. Se dunque
"gli occhi di Dio scrutano i buoni e i cattivi"
27. e se "il
Signore esamina attentamente i figli degli uomini per vedere se vi sia chi abbia
intelletto e cerchi Dio",
28. se a ogni
momento del giorno e della notte le nostre azioni vengono riferite al Signore
dai nostri angeli custodi,
29. bisogna,
fratelli miei, che stiamo sempre in guardia per evitare che un giorno Dio ci
veda perduti dietro il male e isteriliti, come dice il profeta nel salmo e,
30. pur
risparmiandoci per il momento, perché è misericordioso e aspetta la nostra
conversione, debba dirci in avvenire: "Hai fatto questo e ho taciuto".
31. Il secondo
grado dell'umiltà è quello in cui, non amando la propria volontà, non si trova
alcun piacere nella soddisfazione dei propri desideri,
32. ma si imita
il Signore, mettendo in pratica quella sua parola, che dice: "Non sono venuto a
fare la mia volontà, ma quella di colui che mi ha mandato".
33. Cosa" pure
un antico testo afferma: "La volontà propria procura la pena, mentre la
sottomissione conquista il premio".
34. Terzo grado
dell'umiltà è quello in cui il monaco per amore di Dio si sottomette al
superiore in assoluta obbedienza, a imitazione del Signore, del quale l'Apostolo
dice: "Fatto obbediente fino alla morte".
35. Il quarto
grado dell'umiltà è quello del monaco che, pur incontrando difficoltà,
contrarietà e persino offese non provocate nell'esercizio dell'obbedienza,
accetta in silenzio e volontariamente la sofferenza
36. e sopporta
tutto con pazienza, senza stancarsi né cedere secondo il monito della Scrittura:
" Chi avrà sopportato sino alla fine questi sarà salvato".
37. E ancora:
"Sia forte il tuo cuore e spera nel Signore".
38. E per
dimostrare come il servo fedele deve sostenere per il Signore tutte le possibili
contrarietà, esclama per bocca di quelli che patiscono: "Ogni giorno per te
siamo messi a morte, siamo trattati come pecore da macello".
39. Ma con la
sicurezza che nasce dalla speranza della divina retribuzione, costoro
soggiungono lietamente: "E di tutte queste cose trionfiamo in pieno, grazie a
colui che ci ha amato",
40. mentre
altrove la Scrittura dice: "Ci hai provato, Signore, ci hai saggiato come si
saggia l'argento col fuoco; ci hai fatto cadere nella rete, ci hai caricato di
tribolazioni".
41. E per
indicare che dobbiamo assoggettarci a un superiore, prosegue esclamando: "Hai
posto degli uomini sopra il nostro capo".
42. Quei
monaci, però, adempiono il precetto del Signore, esercitando la pazienza anche
nelle avversità e nelle umiliazioni, e, percossi su una guancia, presentano
l'altra, cedono anche il mantello a chi strappa loro di dosso la tunica, quando
sono costretti a fare un miglio di cammino ne percorrono due,
43. come
l'Apostolo Paolo sopportano i falsi fratelli e ricambiano con parole le offese e
le ingiurie.
44. Il quinto
grado dell'umiltà consiste nel manifestare con un'umile confessione al proprio
abate tutti i cattivi pensieri che sorgono nell'animo o le colpe commesse in
segreto,
45. secondo
l'esortazione della Scrittura, che dice: "Manifesta al Signore la tua via e
spera in lui".
46. E anche:
"Aprite l'animo vostro al Signore, perché è buono ed eterna è la sua
misericordia",
47. mentre il
profeta esclama: "Ti ho reso noto il mio peccato e non ho nascosto la mia colpa.
48. Ho detto:
"confesserò le mie iniquità dinanzi al Signore" e tu hai perdonato la malizia
del mio cuore".
49. Il sesto
grado dell'umiltà è quello in cui il monaco si contenta delle cose più misere e
grossolane e si considera un operaio incapace e indegno nei riguardi di tutto
quello che gli impone l'obbedienza,
50. ripetendo a
se stesso con il profeta: "Sono ridotto a nulla e nulla so; eccomi dinanzi a te
come una bestia da soma, ma sono sempre con te".
51. Il settimo
grado dell'umiltà consiste non solo nel qualificarsi come il più miserabile di
tutti, ma nell'esserne convinto dal profondo del cuore,
52. umiliandosi
e dicendo con il profeta: "Ora io sono un verme e non un uomo, l'obbrobrio degli
uomini e il rifiuto della plebe";
53. "Mi sono
esaltato e quindi umiliato e confuso"
54. e ancora:
"Buon per me che fui umiliato, perché imparassi la tua legge".
55. L'ottavo
grado dell'umiltà è quello in cui il monaco non fa nulla al di fuori di ciò a
cui lo sprona la regola comune del monastero e l'esempio dei superiori e degli
anziani.
56. Il nono
grado dell'umiltà è proprio del monaco che sa dominare la lingua e, osservando
fedelmente il silenzio, tace finché non è interrogato,
57. perché la
Scrittura insegna che "nelle molte parole non manca il peccato"
58. e che
"l'uomo dalle molte chiacchiere va senza direzione sulla terra".
59. Il decimo
grado dell'umiltà è quello in cui il monaco non è sempre pronto a ridere, perché
sta scritto: "Lo stolto nel ridere alza la voce".
60.
L'undicesimo grado dell'umiltà è quello nel quale il monaco, quando parla, si
esprime pacatamente e seriamente, con umiltà e gravità, e pronuncia poche parole
assennate, senza alzare la voce,
61. come sta
scritto: "Il saggio si riconosce per la sobrietà nel parlare".
62. Il
dodicesimo grado, infine, è quello del monaco, la cui umiltà non è puramente
interiore, ma traspare di fronte a chiunque lo osservi da tutto il suo
atteggiamento esteriore,
63. in quanto
durante l'Ufficio divino, in coro, nel monastero, nell'orto, per via, nei campi,
dovunque, sia che sieda, cammini o stia in piedi, tiene costantemente il capo
chino e gli occhi bassi;
64. e,
considerandosi sempre reo per i propri peccati, si vede già dinanzi al tremendo
giudizio di Dio,
65. ripetendo
continuamente in cuor suo ciò che disse, con gli occhi fissi a terra il
pubblicano del Vangelo: "Signore, io, povero peccatore, non sono degno di alzare
gli occhi al cielo".
66. E ancora
con il profeta: "Mi sono sempre curvato e umiliato".
67. Una volta
ascesi tutti questi gradi dell'umiltà, il monaco giungerà subito a quella
carità, che quando è perfetta, scaccia il timore;
68. per mezzo
di essa comincerà allora a custodire senza alcuno sforzo e quasi naturalmente,
grazie all'abitudine, tutto quello che prima osservava con una certa paura;
69. in altre
parole non più per timore dell'inferno, ma per timore di Cristo, per la stessa
buona abitudine e per il gusto della virtù.
70. Sono questi
i frutti che, per opera dello Spirito Santo, il Signore si degnerà di rendere
manifesti nel suo servo, purificato ormai dai vizi e dai peccati.
Capitolo VIII -
L'Ufficio divino nella notte
1. Durante la
stagione invernale, cioè dal principio di novembre sino a Pasqua, secondo un
calcolo ragionevole, la sveglia sia verso le due del mattino,
2. in modo che
il sonno si prolunghi un po' oltre la mezzanotte e tutti si possano alzare
sufficientemente riposati.
3. Il tempo che
rimane dopo l'Ufficio vigilare venga impiegato dai monaci, che ne hanno bisogno,
nello studio del salterio o delle lezioni.
4. Da Pasqua,
invece, sino al suddetto inizio di novembre, l'orario venga disposto in modo
tale che, dopo un brevissimo intervallo nel quale i fratelli possono uscire per
le necessità della natura, l'Ufficio vigiliare sia seguito immediatamente dalle
Lodi, che devono essere recitate al primo albeggiare.
Capitolo IX - I
salmi dell'Ufficio notturno
1. Nel suddetto
periodo invernale si dica prima di tutto per tre volte il versetto: "Signore,
apri le mie labbra e la mia bocca annunzierà la tua lode",
2. a cui si
aggiunga il salmo 3 con il Gloria;
3. dopo di
questo il salmo 94 cantato con l'antifona oppure lentamente.
4. Quindi segua
l'inno e poi sei salmi con le antifone,
5. finiti i
quali e detto il versetto, l'abate dia la benedizione e, mentre tutti stanno
seduti ai rispettivi posti, i fratelli leggano a turno dal lezionario posto sul
leggio tre lezioni, intercalate da responsori cantati.
6. Due
responsori si cantino senza il Gloria, ma dopo la terza lezione il cantore lo
intoni
7. e allora
tutti subito si alzino in piedi per l'onore e la riverenza dovuti alla Santa
Trinità.
8. Quanto ai
libri da leggere nell'Ufficio vigilare, siano tutti di autorità divina, sia
dell'antico che del nuovo Testamento, compresi i relativi commenti, scritti da
padri di sicura fama e genuina fede cattolica.
9. Dopo queste
tre lezioni con i rispettivi responsori, seguano gli altri sei salmi da cantare
con l'Alleluia
10. e dopo
questi una lezione tratta dalle lettere di S. Paolo, da recitarsi a memoria, il
versetto, la prece litanica, cioè il Kyrie eleison,
11. e così si
metta fine all'Ufficio vigilare.
Capitolo X -
L'Ufficio notturno dell'estate
1. Da Pasqua
fino al principio di novembre si mantenga lo stesso numero di salmi, che è stato
prescritto sopra;
2. eccetto che,
a causa della brevità delle notti, non si leggano le lezioni dal lezionario, ma,
invece di tre, se ne reciti a memoria una sola dell'antico Testamento seguita da
un responsorio breve;
3. tutto il
resto si svolga, come è già stato prescritto, cioè nell'Ufficio vigiliare non si
dicano mai meno di dodici salmi, senza contare i salmi 3 e 94.
Capitolo XI -
L'Ufficio notturno nelle Domeniche
1. Per
l'Ufficio vigilare della domenica ci si alzi un po' prima.
2. Anche in
questo caso si osservi un determinato ordine, cioè, dopo aver cantato sei salmi
come abbiamo stabilito sopra ed essersi seduti tutti ordinatamente ai propri
posti, si leggano sul lezionario quattro lezioni con i relativi responsori,
secondo quanto abbiamo già detto;
3. solo al
quarto responsorio il cantore intoni il Gloria e allora tutti si alzino subito
in piedi con riverenza.
4. A queste
lezioni seguano per ordine altri sei salmi con le antifone come i precedenti e
il versetto.
5. Quindi si
leggano di nuovo altre quattro lezioni con i propri responsori, secondo le norme
precedenti.
6. Poi si
recitino tre cantici, tratti dai libri dei Profeti a scelta dell'abate, che si
devono cantare con l'Alleluia.
7. Detto quindi
il versetto, con la benedizione dell'abate si leggano altre quattro lezioni del
nuovo Testamento nel modo gi indicato.
8. Dopo il
quarto responsorio l'abate intoni l'inno Te Deum laudamus,
9. finito il
quale lo stesso abate legga la lezione dai Vangeli, mentre tutti stanno in piedi
con la massima reverenza.
10. Al termine
di questa lettura tutti rispondano Amen, poi l'abate prosegua immediatamente con
l'inno Te decet laus e, recitata la preghiera di benedizione, si incomincino le
lodi.
11. Quest'ordine
dell'Ufficio vigiliare della domenica dev'essere mantenuto in ogni stagione,
tanto d'estate che d'inverno,
12. salvo il
caso deprecabile in cui i monaci si alzassero più tardi, nella quale circostanza
bisognerà abbreviare le lezioni e i responsori.
13. Si stia
però bene attenti che ciò non avvenga; ma se dovesse accadere, il responsabile
di una simile negligenza ne faccia in coro degna riparazione a Dio.
Capitolo XII -
Le lodi
1. Alle Lodi
della domenica, prima di tutto si dica il salmo 66 tutto di seguito, senza
antifona,
2. quindi il
salmo 50 con l'Alleluia,
3. poi il 117 e
il 62
4. quindi il
cantico dei tre fanciulli nella fornace (il Benedicite), i salmi di lode, una
lezione dell'Apocalisse a memoria, il responsorio, l'inno, il versetto, il
cantico del Vangelo (il Benedictus) e la prece litanica con cui si finisce.
Capitolo XIII -
Le lodi nei giorni feriali
1. Nei giorni
feriali le Lodi si celebrino nel modo seguente:
2. si dica il
salmo 66 senza antifona, recitandolo lentamente in modo che tutti possano essere
presenti per il salmo 50, che deve dirsi con l'antifona.
3. Dopo di
questi, si dicano altri due salmi secondo la consuetudine e cioè
4. al lunedì i
salmi 5 e 35,
5. al martedì
il 42 e il 56,
6. al mercoledì
il 63 e il 64,
7. al giovedì
l'87 e l'89,
8. al venerdì
il 75 e il 91
9. e al sabato
il 142 con il cantico del Deuteronomio, diviso in due parti dal Gloria.
10. In tutti
gli altri giorni poi si dica il cantico profetico proprio di quel giorno,
secondo l'uso della Chiesa romana.
11. Quindi
seguano i salmi di lode, una breve lezione dell'Apostolo a memoria, il
responsorio, l'inno, il versetto, il cantico del Vangelo, la prece litanica e
così si termina.
12. Ma
l'Ufficio delle Lodi e del Vespro non si chiuda mai senza che, secondo l'uso
stabilito, alla fine, tra l'attenzione di tutti, il superiore reciti il Pater
per le offese alla carità fraterna che avvengono di solito nella vita comune,
13. in modo che
i presenti possano purificarsi da queste colpe, grazie all'impegno preso con la
stessa preghiera nella quale dicono: "Rimetti a noi, come anche noi rimettiamo".
14. Nelle altre
Ore, invece, si dica ad alta voce solo l'ultima parte del Pater, a cui tutti
rispondano: "Ma liberaci dal male".
Capitolo XIV -
L'Ufficio vigilare nelle feste dei Santi
1. Nelle feste
dei Santi e in tutte le solennità si proceda come abbiamo stabilito per la
domenica,
2. ad eccezione
dei salmi, delle antifone e delle lezioni, che saranno proprie di quel giorno;
si segua però l'ordine già fissato.
Capitolo XV -
Quando si deve dire l'alleluia
1. L'Alleluia
si dica sempre dalla santa Pasqua fino a Pentecoste, tanto nei salmi che nei
responsori;
2. da
Pentecoste poi sino al principio della Quaresima lo si dica soltanto negli
ultimi sei salmi dell'Ufficio notturno.
3. Ma in tutte
le domeniche che cadano fuori del tempo quaresimale i cantici, le Lodi, Prima,
Terza, Sesta e Nona si dicano con l'Alleluia, mentre il Vespro avrà le antifone
proprie.
4. I responsori,
invece, non si dicano mai con l'Alleluia, se non da Pasqua a Pentecoste.
Capitolo XVI -
La celebrazione dei divini Offici durante le ore del giorno
1. "Sette volte
al giorno ti ho lodato", dice il profeta.
2. Questo sacro
numero di sette sarà adempiuto da noi, se assolveremo i doveri del nostro
servizio alle Lodi, a Prima, a Terza, a Sesta, a Nona, a Vespro e Compieta,
3. perché
proprio di queste ore diurne il profeta ha detto: "Sette volte al giorno ti ho
lodato".
4. Infatti
nelle Vigilie notturne lo stesso profeta dice: "Nel mezzo della notte mi alzavo
per lodarti".
5. Dunque in
queste ore innalziamo lodi al nostro Creatore "per le opere della sua giustizia"
e cioè alle lodi, a Prima, a Terza, a Sesta, a Nona, a Vespro e a Compieta e di
notte alziamoci per celebrare la sua grandezza.
Capitolo XVII -
Salmi delle ore del giorno
1. Abbiamo già
stabilito l'ordine della salmodia per l'Ufficio notturno e per le Lodi; adesso
provvediamo per le altre Ore.
2. All'ora di
Prima si dicano tre salmi separatamente, ciascuno con il proprio Gloria
3. e l'inno
della stessa Ora segua il versetto Deus in adiutorium prima di iniziare i salmi.
4. Finiti i tre
salmi, si reciti una sola lezione, il versetto, il Kyrie eleison e le preci
finali.
5. A Terza, a
sesta e a Nona si celebri l'Ufficio secondo lo stesso ordine e cioè il versetto
iniziale, gli inni delle rispettive Ore, tre salmi, la lezione, il versetto, il
Kyrie eleison e le preci finali.
6. Se la
comunità fosse numerosa, si salmeggi con le antifone, altrimenti si recitino i
salmi tutti di seguito.
7. L'Ufficio
del Vespro comprenda quattro salmi con le antifone,
8. dopo i quali
si reciti la lezione, quindi il responsorio, l'inno, il versetto, il cantico del
Vangelo, il Kyrie e il Pater, a cui segue il congedo.
9. Compieta,
infine, consista in tre salmi di seguito, senza antifona,
10. ai quali
segua l'inno della medesima ora, una sola lezione, il versetto, il Kyrie eleison
e la benedizione con cui si conclude.
Capitolo XVIII
- L'ordine dei salmi nelle ore del giorno
1. Prima di
tutto si dica il versetto: "O Dio, vieni in mio soccorso; Signore, affrettati ad
aiutarmi", il Gloria e poi l'inno di ciascuna Ora.
2. A Prima
della domenica si dicano quattro strofe del salmo 118;
3. alle altre
Ore, cioè a Terza, Sesta e Nona, si dicano tre strofe per volta dello stesso
salmo.
4. A Prima del
lunedì si recitino tre salmi e cioè il salmo 1, il 2 e il 6;
5. e così nei
giorni successivi fino alla domenica si dicano di seguito tre salmi fino al 19,
in modo però che il 9 e il 17 si dividano in due.
6. Così le
vigilie domenicali cominceranno sempre con il salmo 20.
7. A Terza,
Sesta e Nona del lunedì si dicano le ultime nove strofe del salmo 118, tre per
ciascuna Ora.
8. Esaurito
questo salmo in due giorni, cioè alla domenica e al lunedì,
9. a Terza,
Sesta e Nona del martedì si recitino rispettivamente tre salmi dal 119 al 127,
cioè in tutto nove salmi.
10. Questi
vengano sempre ripetuti allo stesso modo nelle medesime Ore fino alla domenica,
lasciando però invariati gli inni, le lezioni e i versetti per tutte le Ore
della settimana,
11. in modo che
alla domenica si cominci sempre dal salmo 118.
12. Il Vespro
poi si celebri ogni giorno con il canto di quattro salmi,
13. dal 109
fino al 147;
14. eccettuando
quelli che sono riservati alle altre Ore, cioè i salmi 117-127, 133 e 142,
15. tutti gli
altri si dicano a Vespro.
16. E poiché
vengono a mancare tre salmi, si dividano i più lunghi del gruppo indicato, ossia
il 138, il 143 e il 144.
17. Il 116,
invece, che è il più breve, venga unito al 115.
18. Stabilito
così l'ordine della salmodia vespertina, tutto il resto, cioè la lezione, il
responsorio, l'inno, il versetto e il cantico, si dica come abbiamo disposto
sopra.
19. A Compieta,
infine, si ripetano tutti i giorni gli stessi salmi e cioè il 4, il 90 e il 133.
20. Una volta
fissato l'ordine della salmodia di tutti i salmi rimanenti vengano distribuiti
in parti uguali nei sette Uffici notturni,
21. dividendo
quelli più lunghi e assegnandone dodici per notte.
22. Ci teniamo
però ad avvertire che, se qualcuno non trovasse conveniente tale distribuzione
dei salmi, li disponga pure come meglio crede,
23. purché badi
bene di fare in modo che in tutta la settimana si reciti l'intero salterio di
centocinquanta salmi e con l'Ufficio vigiliare della domenica si ricominci
sempre da capo.
24. Infatti i
monaci, che in una settimana salmeggiano meno dell'intero salterio con i cantici
consueti, danno prova di grande indolenza e fiacchezza nel servizio a cui sono
consacrati,
25. dato che
dei nostri padri si legge che in un sol giorno adempivano con slancio e fervore
quanto è augurabile che noi tiepidi riusciamo a eseguire in una settimana.
Capitolo XIX -
La partecipazione interiore all'Ufficio divino
1. Sappiamo per
fede che Dio è presente dappertutto e che "gli occhi del Signore guardano in
ogni luogo i buoni e i cattivi",
2. ma dobbiamo
crederlo con assoluta certezza e senza la minima esitazione, quando prendiamo
parte all'Ufficio divino.
3. Perciò
ricordiamoci sempre di quello che dice il profeta: "Servite il Signore nel
timore"
4. e ancora:
"Lodatelo degnamente"
5. e ancora: "
Ti canterò alla presenza degli angeli".
6. Consideriamo
dunque come bisogna comportarsi alla presenza di Dio e dei suoi Angeli
7. e
partecipiamo alla salmodia in modo tale che l'intima disposizione dell'animo si
armonizzi con la nostra voce.
Capitolo XX -
La riverenza nella preghiera
1. Se quando
dobbiamo chiedere un favore a qualche personaggio, osiamo farlo solo con
soggezione e rispetto,
2. quanto più
dobbiamo rivolgere la nostra supplica a Dio, Signore di tutte le cose, con
profonda umiltà e sincera devozione.
3. Bisogna
inoltre sapere che non saremo esauditi per le nostre parole, ma per la purezza
del cuore e la compunzione che strappa le lacrime.
4. Perciò la
preghiera dev'essere breve e pura, a meno che non venga prolungata dall'ardore e
dall'ispirazione della grazia divina.
5. Ma quella
che si fa in comune sia brevissima e quando il superiore dà il segno, si alzino
tutti insieme.
Capitolo XXI -
I decani del monastero
1. Se la
comunità è abbastanza numerosa, si scelgano in essa alcuni monaci di buon
esempio e di santa vita per costituirli decani;
2. essi
vigileranno premurosamente, secondo le leggi di Dio e gli ordini dell'abate sui
gruppi di dieci fratelli affidati alle loro rispettive cure.
3. Come decani
devono essere eletti quei monaci con i quali l'abate possa tranquillamente
condividere i suoi pesi
4. e in tale
scelta non bisogna tener conto dell'ordine di anzianità, ma regolarsi solo in
considerazione della condotta esemplare e della scienza delle cose di Dio.
5. Se poi fra
questi decani ce ne fosse qualcuno che, montato un po' in superbia, dovesse
essere ripreso, sia rimproverato una prima, una seconda e una terza volta e, se
non vorrà correggersi,
6. venga
sostituito con un altro veramente degno.
7. La stessa
cosa stabiliamo per il priore.
Capitolo XXII -
Il dormitorio dei monaci
1. Ciascun
monaco dorma in un letto proprio
2. e ne riceva
la fornitura conforme alle consuetudini monastiche e secondo quanto disporrà
l'abate.
3. Se è
possibile dormano tutti nello stesso locale, ma se il numero rilevante non lo
permette, riposino a dieci o venti per ambiente insieme con gli anziani
incaricati della sorveglianza.
4. Nel
dormitorio rimanga sempre accesa una lampada fino al mattino.
5. Dormano
vestiti, con ai fianchi semplici cinture o corde, senza portare coltelli appesi
al lato mentre riposano, per non ferirsi nel sonno.
6. Così i
monaci siano sempre pronti e, appena dato il segnale, alzandosi senza indugio si
affrettino a prevenirsi vicendevolmente per l'Ufficio divino, ma sempre con la
massima gravità e modestia.
7. I più
giovani non abbiano i letti vicini, ma alternati con quelli dei più anziani.
8. Quando poi
si alzano per l'Ufficio divino, si esortino garbatamente a vicenda per prevenire
le scuse degli assonnati.
Capitolo XXIII
- La scomunica per le colpe
1. Se qualche
fratello si dimostrerà ribelle o disobbediente o superbo o mormoratore, o
assumerà un atteggiamento di ostilità e di disprezzo nei confronti di qualche
punto della santa Regola o degli ordini dei superiori,
2. questi lo
rimproverino una prima e una seconda volta in segreto, secondo il precetto del
Signore.
3. Se non si
migliorerà, venga ripreso pubblicamente di fronte a tutti.
4. Ma nel caso
che anche questo provvedimento si dimostri inefficace, sia scomunicato, purché
sia in grado di valutare la portata di una tale punizione.
5. Se invece
difetta di una sufficiente sensibilità, sia sottoposto al castigo corporale.
Capitolo XXIV -
La misura della scomunica
1. La scomunica
e, in genere, la punizione disciplinare dev'essere proporzionata alla gravità
della colpa
2. e ciò è di
competenza dell'abate.
3. Però il
monaco che avrà commesso mancanze meno gravi sia escluso dalla mensa comune.
4. Il
trattamento inflitto a chi viene escluso dalla mensa è il seguente: in coro non
intoni salmo, né antifona, né reciti lezioni fino a quando non avrà riparato
alle sue mancanze;
5. mangi da
solo dopo la comunità,
6. sicché se,
per esempio, i monaci pranzano all'ora di Sesta, egli mangi a Nona; se pranzano
a Nona, egli a Vespro,
7. fino a
quando avrà ottenuto il perdono con una conveniente riparazione.
Capitolo XXV -
Le colpe più gravi
1. Il monaco
colpevole di mancanze più gravi sia invece sospeso oltre che dalla mensa anche
dal coro.
2. Nessuno lo
avvicini per fargli compagnia o parlare di qualsiasi cosa.
3. Attenda da
solo al lavoro che gli sarà assegnato e rimanga nel lutto della penitenza,
consapevole della terribile sentenza dell'apostolo che dice:
4. "Costui è
stato consegnato alla morte della carne, perché la sua anima sia salva nel
giorno del Signore".
5. Prenda il
suo cibo da solo nella quantità e nell'ora che l'abate giudicherà più
conveniente per lui;
6. non sia
benedetto da chi lo incontra e non si benedica neppure il cibo che gli viene
dato.
Capitolo XXVI -
Rapporti dei confratelli con gli scomunicati
1. Se qualche
monaco oserà avvicinare in qualche modo un fratello scomunicato, o parlare con
lui, o inviargli un messaggio, senza l'autorizzazione dell'abate,
2. incorra
nella medesima punizione.
Capitolo XXVII
- La sollecitudine dell'abate per gli scomunicati
1. L'abate deve
prendersi cura dei colpevoli con la massima sollecitudine, perché "non sono i
sani che hanno bisogno del medico, ma i malati".
2. Perciò deve
agire come un medico sapiente, inviando in qualità di amici fidati dei monaci
anziani e prudenti
3. che quasi
inavvertitamente confortino il fratello vacillante e lo spingano a un'umile
riparazione, incoraggiandolo perché "non sia sommerso da eccessiva tristezza",
4. in altre
parole "gli usi maggiore carità", come dice l'Apostolo "e tutti preghino per
lui".
5. Bisogna che
l'abate sia molto vigilante e si impegni premurosamente con tutta l'accortezza e
la diligenza di cui è capace per non perdere nessuna delle pecorelle a lui
affidate.
6. Sia
pienamente cosciente di essersi assunto il compito di curare anime inferme e non
di dover esercitare il dominio sulle sane
7. e consideri
con timore il severo oracolo del profeta per bocca del quale il Signore dice:
"Ciò che vedevate pingue lo prendevate; ciò invece che era debole lo gettavate
via".
8. Imiti
piuttosto la misericordia del buon Pastore che, lasciate sui monti le
novantanove pecore, andò alla ricerca dell'unica che si era smarrita
9. ed ebbe
tanta compassione della sua debolezza che si degnò di caricarsela sulle sue
sacre spalle e riportarla così all'ovile.
Capitolo XXVIII
- La procedura nei confronti degli ostinati
1. Se un
monaco, già ripreso più volte per una qualsiasi colpa, non si correggerà neppure
dopo la scomunica, si ricorra a una punizione ancor più severa e cioè al castigo
corporale.
2. Ma se
neppure così si emenderà o - non sia mai! - montato in superbia pretenderà
persino di difendere il suo operato, l'abate si regoli come un medico provetto,
3. ossia, dopo
aver usato i linimenti e gli unguenti delle esortazioni, i medicamenti delle
Scritture divine e, infine, la cauterizzazione della scomunica e le piaghe delle
verghe,
4. vedendo che
la sua opera non serve a nulla, si affidi al rimedio più efficace e cioè alla
preghiera sua e di tutta la comunità
5. per ottenere
dal Signore che tutto può la salvezza del fratello.
6. Se, però,
nemmeno questo tentativo servirà a guarirlo, l'abate, metta mano al ferro del
chirurgo, secondo quanto dice l'apostolo: "Togliete di mezzo a voi quel
malvagio"
7. e ancora:
"Se l'infedele vuole andarsene, vada pure",
8. perché una
pecora infetta non debba contagiare tutto il gregge.
Capitolo XXIX -
La riammissione dei fratelli che hanno lasciato il monastero
1. Il monaco,
che, dopo aver lasciato per propria colpa il monastero, volesse ritornarvi,
prometta anzitutto di correggersi definitivamente dalla colpa per la quale è
uscito
2. e a questa
condizione sia ricevuto all'ultimo posto per provare la sua umiltà.
3. Se poi
uscisse di nuovo sia riammesso fino alla terza volta, ma sappia che in seguito
gli sarà negata ogni possibilità di ritorno.
Capitolo XXX -
La correzione dei ragazzi
1. Ogni età e
intelligenza dev'essere trattata in modo adeguato.
2. Perciò i
bambini e gli adolescenti e quelli che non sono in grado di comprendere la
gravità della scomunica,
3. quando
commettono qualche colpa siano puniti con gravi digiuni o repressi con castighi
corporali, perché si correggano.
Capitolo XXXI -
Il cellerario del monastero
1. Come
cellerario del monastero si scelga un fratello saggio, maturo, sobrio, che non
ecceda nel mangiare e non abbia un carattere superbo, turbolento, facile alle
male parole, indolente e prodigo,
2. ma sia
timorato di Dio e un vero padre per la comunità.
3. Si prenda
cura di tutto e di tutti.
4. Non faccia
nulla senza il permesso dell'abate
5. ed esegua
fedelmente gli ordini ricevuti.
6. Non dia ai
fratelli motivo di irritarsi e,
7. se qualcuno
di loro avanzasse pretese assurde, non lo mortifichi sprezzantemente, ma sappia
respingere la richiesta inopportuna con ragionevolezza e umiltà.
8. Custodisca
l'anima sua, ricordandosi sempre di quella sentenza dell'apostolo che dice: "Chi
avrà esercitato bene il proprio ministero, si acquisterà un grado onorevole".
9. Si interessi
dei malati, dei ragazzi, degli ospiti e dei poveri con la massima diligenza, ben
sapendo che nel giorno del giudizio dovrà rendere conto di tutte queste persone
affidate alle sue cure.
10. Tratti gli
oggetti e i beni del monastero con la reverenza dovuta ai vasi sacri dell'altare
11. e non tenga
nulla in poco conto.
12. Non si
lasci prendere dall'avarizia né si abbandoni alla prodigalità, ma agisca sempre
con criterio e secondo le direttive dell'abate.
13. Soprattutto
sia umile e se non può concedere quanto gli è stato richiesto, dia almeno una
risposta caritatevole,
14. perché sta
scritto: "Una buona parola vale più del migliore dei doni".
15. Si
interessi solo delle incombenze che gli ha affidato l'abate, senza ingerirsi in
quelle da cui lo ha escluso.
16.
Distribuisca ai fratelli la porzione di vitto prestabilita senza alterigia o
ritardi, per non dare motivo di scandalo, ricordandosi di quello che toccherà,
secondo la divina promessa, a "chi avrà scandalizzato uno di questi piccoli".
17. Se la
comunità fosse numerosa, gli si concedano degli aiuti con la cui collaborazione
possa svolgere serenamente il compito che gli è stato assegnato.
18. Nelle ore
fissate si distribuisca quanto si deve dare e si chieda quello che si deve
chiedere,
19. in modo che
nella casa di Dio non ci sia alcun motivo di turbamento o di malcontento.
Capitolo XXXII
- Gli arnesi e gli oggetti del monastero
1. Per la cura
di tutto quello che il monastero possiede di arnesi, vesti o qualsiasi altro
oggetto l'abate scelga dei monaci su cui possa contare a motivo della loro vita
virtuosa
2. e affidi
loro i singoli oggetti nel modo che gli sembrerà più opportuno, perché li
custodiscano e li raccolgano.
3. Tenga
l'inventario di tutto, in maniera che, quando i vari monaci si succedono negli
incarichi loro assegnati, egli sappia che cosa dà e che cosa riceve.
4. Se poi
qualcuno trattasse con poca pulizia o negligenza le cose del monastero, venga
debitamente rimproverato;
5. nel caso che
non si corregga, sia sottoposto alle punizioni previste dalla Regola.
Capitolo XXXIII
- Il "vizio" della proprietà
1. Nel
monastero questo vizio deve essere assolutamente stroncato fin dalle radici,
2. sicché
nessuna si azzardi a dare o ricevere qualche cosa senza il permesso dell'abate,
3. né pensi di
avere nulla di proprio, assolutamente nulla, né un libro, né un quaderno o un
foglio di carta e neppure una matita,
4. dal momento
che ai monaci non è più concesso di disporre liberamente neanche del proprio
corpo e della propria volontà,
5. ma bisogna
sperare tutto il necessario dal padre del monastero e non si può tenere presso
di sé alcuna cosa che l'abate che l'abate non abbia dato o permesso.
6. "Tutto sia
comune a tutti", come dice la Scrittura, e "nessuno dica o consideri propria
qualsiasi cosa".
7. Se poi si
scoprisse qualcuno che si compiace in questo pessimo vizio, bisognerà
rimproverarlo una prima e una seconda volta
8. e, nel caso
che non si corregga, infliggergli il dovuto castigo.
Capitolo XXXIV
- La distribuzione del necessario
1. "Si
distribuiva a ciascuno proporzionatamente al bisogno", si legge nella Scrittura.
2. Con questo
non intendiamo che si debbano fare preferenze - Dio ce ne liberi! - ma che si
tenga conto delle eventuali debolezze;
3. quindi chi
ha meno necessità, ringrazi Dio senza amareggiarsi,
4. mentre chi
ha maggiori bisogni, si umili per la propria debolezza, invece di montarsi la
testa per le attenzioni di cui è fatto oggetto
5. e così tutti
i membri della comunità staranno in pace.
6. Soprattutto
bisogna evitare che per qualsiasi motivo faccia la sua comparsa il male della
mormorazione, sia pure attraverso una parola o un gesto.
7. E, nel caso
che se ne trovi colpevole qualcuno, sia punito con maggior rigore.
Capitolo XXXV -
Il servizio della cucina
1. I fratelli
si servano a vicenda e nessuno sia dispensato dal servizio della cucina, se non
per malattia o per un impegno di maggiore importanza,
2. perché così
si acquista un merito più grande e si accresce la carità.
3. Ma i più
deboli siano provveduti di un aiuto, in modo da non dover compiere questo
servizio di malumore;
4. anzi, è bene
che, in generale, tutti abbiano degli aiuti in corrispondenza alla grandezza
della comunità e alle condizioni locali.
5. In una
comunità numerosa il cellerario sia dispensato dal servizio della cucina, come
anche i fratelli che, secondo quanto abbiamo già detto, sono occupati in compiti
di maggiore utilità,
6. ma tutti gli
altri si servano a vicenda con carità.
7. Al sabato il
monaco che termina il suo turno settimanale, faccia le pulizie.
8. Si lavino
gli asciugatoi usati dai fratelli per le mani e i piedi.
9. Tanto il
monaco che finisce il servizio, quanto quello che lo comincia, lavino i piedi a
tutti.
10. Il primo
consegni puliti e intatti al cellerario tutti gli utensili di cui si è servito
nel proprio turno.
11. A sua volta
il cellerario li affidi al fratello che entra in servizio, in modo da sapere
quello che dà e quello che riceve.
12. Un'ora
prima del pranzo, ciascuno dei monaci di turno in cucina riceva, oltre la
quantità di cibo stabilita per tutti, un po' di pane e di vino,
13. per poter
poi all'ora del pranzo servire i propri fratelli senza lamentele né grave
disagio;
14. ma nei
giorni festivi aspettino fino al termine della celebrazione eucaristica.
15. Alla
domenica, subito dopo le Lodi, quelli che iniziano e quelli che terminano il
servizio della cucina si inginocchino in coro davanti a tutti, chiedendo che
preghino per loro.
16. Chi ha
finito il proprio turno reciti il versetto: "Sii benedetto, Signore Dio, che mi
hai aiutato e mi hai consolato".
17. E quando lo
avrà ripetuto tre volte e avrà ricevuto la benedizione, continui il fratello che
gli succede nel servizio, dicendo: "O Dio, vieni in mio soccorso; Signore,
affrettati ad aiutarmi";
18. anche
questo versetto sarà ripetuto tre volte da tutti, dopo di che il fratello
riceverà la benedizione e inizierà il suo turno.
Capitolo XXXVI
- I fratelli infermi
1. L'assistenza
agli infermi deve avere la precedenza e la superiorità su tutto, in modo che
essi siano serviti veramente come Cristo in persona,
2. il quale ha
detto di sé: "Sono stato malato e mi avete visitato",
3. e: "Quello
che avete fatto a uno di questi piccoli, lo avete fatto a me".
4. I malati
però riflettano, a loro volta, che sono serviti per amore di Dio e non opprimano
con eccessive pretese i fratelli che li assistono,
5. ma comunque
bisogna sopportarli con grande pazienza, poiché per mezzo loro si acquista un
merito più grande.
6. Quindi
l'abate vigili con la massima attenzione perché non siano trascurati sotto alcun
riguardo.
7. Per i monaci
ammalati ci sia un locale apposito e un infermiere timorato di Dio, diligente e
premuroso.
8. Si conceda
loro l'uso dei bagni, tutte le volte che ciò si renderà necessario a scopo
terapeutico; ai sani, invece, e specialmente ai più giovani venga consentito più
raramente.
9. I malati più
deboli avranno anche il permesso di mangiare carne per potersi rimettere in
forze; però, appena ristabiliti, si astengano tutti dalla carne come al solito.
10. Ma la più
grande preoccupazione dell'abate deve essere che gli infermi non siano
trascurati dal cellerario e dai fratelli che li assistono, perché tutte le
negligenze commesse dai suoi discepoli ricadono su di lui.
Capitolo XXXVII
- I vecchi e i ragazzi
1. Benché la
stessa natura umana sia portata alla compassione per queste due età, dei vecchi,
cioè, e dei ragazzi, bisogna che se ne interessi anche l'autorità della Regola.
2. Si tenga
sempre conto della loro fragilità e, per quanto riguarda i cibi, non siano
affatto obbligati all'austerità della Regola,
3. Ma, con
amorevole indulgenza, si conceda loro un anticipo sulle ore fissate per i pasti.
Capitolo
XXXVIII - La lettura in refettorio
1. Alla mensa
dei monaci non deve mai mancare la lettura, né è permesso di leggere a chiunque
abbia preso a caso un libro qualsiasi, ma bisogna che ci sia un monaco
incaricato della lettura, che inizi il suo compito alla domenica.
2. Dopo la
Messa e la comunione, il lettore che entra in funzione si raccomandi nel coro
alle preghiere dei fratelli, perché Dio lo tenga lontano da ogni tentazione di
vanità;
3. e tutti
ripetano per tre volte il versetto: "Signore apri le mie labbra e la mia bocca
annunzierà la tua lode", che è stato intonato dal lettore stesso,
4. il quale,
dopo aver ricevuta così la benedizione, potrà iniziare il proprio turno.
5. Nel
refettorio regni un profondo silenzio, in modo che non si senta alcun bisbiglio
o voce, all'infuori di quella del lettore.
6. I fratelli
si porgano a vicenda il necessario per mangiare e per bere, senza che ci sia
bisogno di chiedere nulla.
7. Se poi
proprio occorresse qualche cosa, invece che con la voce, si chieda con un
leggero rumore che serva da richiamo.
8. E nessuno si
permetta di fare delle domande sulla lettura o su qualsiasi altro argomento, per
non offrire occasione di parlare,
9. a meno che
il superiore non ritenga opportuno di dire poche parole di edificazione.
10. Prima di
iniziare la lettura, il monaco di turno prenda un po' di vino aromatico, sia per
rispetto alla santa Comunione, sia per evitare che il digiuno gli pesi troppo,
11. e poi mangi
con i fratelli che prestano servizio in cucina e in refettorio.
12. Però i
monaci non devono leggere e cantare tutti secondo l'ordine di anzianità, ma
questo incarico va affidato solo a coloro che sono in grado di edificare i
propri ascoltatori.
Capitolo XXXIX
- La misura del cibo
1. Volendo
tenere il debito conto delle necessità individuali, riteniamo che per il pranzo
quotidiano fissato - a seconda delle stagioni - dopo Sesta o dopo Nona, siano
sufficienti due pietanze cotte,
2. in modo che
chi eventualmente non fosse in condizioni di prenderne una, possa servirsi
dell'altra.
3. Dunque a
tutti i fratelli devono bastare due pietanze cotte e se ci sarà la possibilità
di procurarsi della frutta o dei legumi freschi, se ne aggiunga una terza.
4. Quanto al
pane penso che basti un chilo abbondante al giorno, sia quando c'è un solo
pasto, che quando c'è pranzo e cena.
5. In quest'ultimo
caso il cellerario ne metta da parte un terzo per distribuirlo a cena.
6. Nel caso che
il lavoro quotidiano sia stato più gravoso del solito, se l'abate lo riterrà
opportuno, avrà piena facoltà di aggiungere un piccolo supplemento,
7. purché si
eviti assolutamente ogni abuso e il monaco si guardi dall'ingordigia.
8. Perché nulla
è tanto sconveniente per un cristiano, quanto gli eccessi della tavola,
9. come dice lo
stesso nostro Signore: "State attenti che il vostro cuore non sia appesantito
dal troppo cibo".
10. Quanto poi
ai ragazzi più piccoli, non si serva loro la medesima porzione, ma una quantità
minore, salvaguardando in tutto la sobrietà.
11. Tutti
infine si astengano assolutamente dalla carne di quadrupedi, a eccezione dei
malati molto deboli.
Capitolo XL -
La misura del vino
1. "Ciascuno ha
da Dio il proprio dono, chi in un modo, chi in un altro"
2. ed è questo
il motivo per cui fissiamo la quantità del vitto altrui con una certa
perplessità.
3. Tuttavia,
tenendo conto della cagionevole costituzione dei più gracili, crediamo che a
tutti possa bastare un quarto di vino a testa.
4. Quanto ai
fratelli che hanno ricevuto da Dio la forza di astenersene completamente,
sappiano che ne riceveranno una particolare ricompensa.
5. Se però le
esigenze locali o il lavoro o la calura estiva richiedessero una maggiore
quantità, sia in facoltà del superiore concederla, badando sempre a evitare la
sazietà e ancor più l'ubriachezza.
6. Per quanto
si legga che il vino non è fatto per i monaci, siccome oggi non è facile
convincerli di questo, mettiamoci almeno d'accordo sulla necessità di non bere
fino alla sazietà, ma più moderatamente,
7. perché "il
vino fa apostatare i saggi".
8. I monaci poi
che risiedono in località nelle quali è impossibile procurarsi la suddetta
misura, ma se ne trova solo una quantità molto minore o addirittura nulla,
benedicano Dio e non mormorino:
9. è questo
soprattutto che mi preme di raccomandare, che si guardino dalla mormorazione.
Capitolo XLI -
L'orario dei pasti
1. Dalla santa
Pasqua fino a Pentecoste i fratelli pranzino all'ora di Sesta, cioè a
mezzogiorno, e cenino la sera.
2. Invece da
Pentecoste in poi, per tutta l'estate, se non sono impegnati nei lavori agricoli
o sfibrati dalla calura estiva, al mercoledì e al venerdì digiunino sino all'ora
di Nona, cioè fin dopo le 14
3. e negli
altri giorni pranzino all'ora di Sesta.
4. Ma nel caso
che abbiano da lavorare nei campi o che il caldo sia eccessivo, potranno
pranzare tutti i giorni alle 12, secondo quanto stabilirà paternamente l'abate.
5. Così questi
regoli e disponga tutto in modo che le anime si salvino e i monaci possano
compiere il proprio dovere senza un motivo fondato di mormorazione.
6. Dal 14
settembre fino all'inizio della Quaresima pranzino sempre all'ora di Nona.
7. Durante la
Quaresima, poi, fino a Pasqua pranzino all'ora di Vespro:
8. questo
Ufficio però dev'essere celebrato a un'ora tale da non aver bisogno di accendere
il lume durante il pranzo e poter terminare mentre è ancora giorno.
9. Anzi, in
ogni stagione, sia l'ora del pranzo che quella della cena devono essere fissate
in maniera che tutto si possa fare con la luce del sole.
Capitolo XLII -
Il silenzio dopo compieta
1. I monaci
devono custodire sempre il silenzio con amore, ma soprattutto durante la notte.
2. Perciò in
ogni periodo dell'anno, sia di digiuno oppure no, si procederà nel modo
seguente:
3. se non si
digiuna, appena alzati da cena, i monaci si riuniscano tutti insieme e uno di
loro legga le Conferenze o le Vite dei Padri o qualche altra opera di
edificazione,
4. ma non i
primi sette libri della Bibbia e neppure quelli dei Re, perché ai temperamenti
impressionabili non fa bene ascoltare a quell'ora i suddetti testi
scritturistici, che però si dovranno leggere in altri momenti;
5. se invece
fosse giorno di digiuno, dopo la celebrazione dei Vespri e un breve intervallo,
vadano direttamente alla lettura di cui abbiamo parlato
6. e leggano
quattro o cinque pagine o quanto è consentito dal tempo a disposizione,
7. perché
durante questo intervallo della lettura possano radunarsi tutti, compresi quelli
che fossero eventualmente stati occupati in qualche incombenza.
8. Quando
saranno tutti riuniti, dicano insieme Compieta, all'uscita dalla quale non sia
più permesso ad alcuno di pronunciare una parola.
9. Chiunque sia
colto a trasgredire questa regola del silenzio venga severamente punito,
10. eccetto il
caso in cui sopraggiungano degli ospiti o l'abate abbia dato un ordine a un
monaco;
11. ma anche in
questa eventualità bisogna procedere con la massima gravità e il debito riserbo.
Capitolo XLIII
- La puntualità nell'Ufficio divino e in refettorio
1. All'ora
dell'Ufficio divino, appena si sente il segnale, lasciato tutto quello che si ha
tra le mani, si accorra con la massima sollecitudine,
2. ma nello
stesso tempo con gravità, per non dare adito alla leggerezza.
3. In altre
parole non si anteponga nulla all'opera di Dio".
4. Se qualcuno
arriva all'Ufficio notturno dopo il Gloria del salmo 94, che proprio per questo
motivo vogliamo sia cantato molto lentamente e con pause, non occupi il proprio
posto nel coro,
5. ma si metta
all'ultimo o in quella parte che l'abate avrà destinato per questi negligenti,
perché siano veduti da lui e da tutti,
6. e vi rimanga
fino a quando, al termine del l'Ufficio divino, avrà riparato dinanzi a tutta la
comunità con una penitenza.
7. Abbiamo
ritenuto opportuno far rimanere questi ritardatari all'ultimo posto o in un
canto, perché si correggano almeno per la vergogna di essere visti da tutti.
8. Se, infatti,
rimanessero fuori del coro, ci potrebbe essere qualcuno che ritorna a dormire o
si siede fuori o si mette a chiacchierare, dando così occasione al demonio;
9. è bene
invece che entrino, in modo da non perdere tutto l'Ufficio e correggersi per
l'avvenire.
10. Nelle Ore
del giorno, invece, il monaco che arriva all'Ufficio divino dopo il versetto o
il Gloria del primo salmo, che segue lo stesso versetto, si metta all'ultimo
posto, secondo la norma precedente,
11. e non si
permetta di unirsi al coro dei fratelli che salmeggiano, fino a che non avrà
riparato, a meno che l'abate gliene dia il permesso con il suo perdono;
12. ma anche in
questo caso il ritardatario dovrà riparare la sua mancanza.
13. Per quanto
riguarda il refettorio, chi non arriva prima del versetto in modo che tutti
uniti dicano il versetto stesso, preghino e poi siedano insieme a mensa,
14. se la
mancanza è dovuta a negligenza o cattiva volontà, sia rimproverato fino a due
volte.
15. Ma se
ancora non si corregge, sia escluso dalla mensa comune
16. e mangi da
solo, separato dalla comunità e senza la sua razione di vino, fino a che non
abbia riparato e si sia corretto.
17. Lo stesso
castigo sia inflitto al monaco che non si trovi presente al versetto che si
recita dopo il pranzo.
18. Nessuno poi
si permetta di mangiare o di bere qualcosa prima dell'ora stabilita.
19. Ma il
monaco che non avesse accettato ciò che gli era stato offerto dal superiore,
quando desidererà quello che ha rifiutato in precedenza o altro, non ottenga
assolutamente nulla fino a che non dimostri di essersi debitamente corretto.
Capitolo XLIV -
La riparazione degli scomunicati
1. Il monaco
che per colpe gravi è stato escluso dal coro e della mensa comune, al termine
dell'Ufficio divino si prostri in silenzio davanti alla porta del coro,
2. rimanendo lì
disteso con la faccia a terra dinanzi a tutti quelli che escono
3. e continui a
fare in questo modo fino a quando l'abate non giudichi che ha sufficientemente
riparato.
4. Quando poi
sarà chiamato dall'abate, si getti ai piedi di lui e di tutti i fratelli per
chiedere le loro preghiere.
5. Allora, se
l'abate vorrà, potrà essere riammesso in coro al suo posto o a quello designato
dallo stesso abate,
6. senza
permettersi, però, di recitare un salmo, una lezione o altro, a meno che l'abate
glielo ordini.
7. Inoltre al
termine di tutte le Ore dell'Ufficio divino, si prostri a terra lì dove si trova
8. e faccia
così la sua riparazione, finché l'abate non metterà fine a questa penitenza.
9. Quelli,
invece, che per colpe più leggere sono stati esclusi solo dalla mensa, facciano
penitenza in coro per il tempo stabilito dall'abate
10. e la
ripetano fin tanto che questi li benedica e dica: Basta!
Capitolo XLV -
La riparazione per gli errori commessi in coro
1. Se un monaco
commette un errore mentre recita un salmo, un responsorio, un'antifona o una
lezione e non si umilia davanti a tutti con una penitenza, sia sottoposto a una
punizione più severa,
2. perché non
ha voluto correggersi umilmente dell'errore commesso per negligenza.
3. Nel caso dei
ragazzi, invece, per una colpa di questo genere si ricorra al castigo corporale.
Capitolo XLVI -
La riparazione per le altre mancanze
1. Se, mentre è
impegnato in un qualsiasi lavoro in cucina, in dispensa, nel proprio servizio,
nel forno, nell'orto, in qualche attività o si trova in un altro luogo
qualunque, un monaco commette uno sbaglio,
2. rompe o
perde un oggetto o incorre comunque in una mancanza
3. e non si
presenta subito all'abate e alla comunità per riparare spontaneamente e
confessare la propria colpa,
4. sarà
sottoposto a una punizione più severa, quando il fatto verrà reso noto da altri.
5. Ma se il
movente segreto del peccato fosse nascosto nell'intimo della coscienza, lo
manifesti solo all'abate o a qualche monaco anziano,
6. che sappia
curare le miserie proprie e altrui senza svelarle e renderle di pubblico
dominio.
Capitolo XLVII
- Il segnale per l'Ufficio divino
1. Bisogna che
l'abate si assuma personalmente il compito di dare il segnale per l'Ufficio
divino, oppure lo affidi a un monaco diligente in modo che tutto avvenga
regolarmente nelle ore fissate.
2.
L'intonazione dei salmi e delle antifone, secondo l'ordine prestabilito, spetta,
dopo l'abate, ai monaci appositamente designati.
3. E nessuno si
permetta di cantare o di leggere all'infuori di chi è capace di farlo in maniera
da edificare i suoi ascoltatori;
4. inoltre
questo compito dev'essere svolto con umiltà, gravità e reverenza e solo dietro
incarico dell'abate.
Capitolo XLVIII
- Il lavoro quotidiano
1. L'ozio è
nemico dell'anima, perciò i monaci devono dedicarsi al lavoro in determinate ore
e in altre, pure prestabilite, allo studio della parola di Dio.
2. Quindi
pensiamo di regolare gli orari di queste due attività fondamentali nel modo
seguente:
3. da Pasqua
fino al 14 settembre, al mattino verso le 5 quando escono da Prima, lavorino
secondo le varie necessità fino alle 9;
4. dalle 9 fino
all'ora di Sesta si dedichino allo studio della parola di Dio.
5. Dopo
l'Ufficio di Sesta e il pranzo, quando si alzano da tavola, riposino nei
rispettivi letti in assoluto silenzio e, se eventualmente qualcuno volesse
leggere per proprio conto, lo faccia in modo da non disturbare gli altri.
6. Si celebri
Nona con un po' di anticipo, verso le 14, e poi tutti riprendano il lavoro
assegnato dall'obbedienza fino all'ora di Vespro.
7. Ma se le
esigenze locali o la povertà richiedono che essi si occupino personalmente della
raccolta dei prodotti agricoli, non se ne lamentino,
8. perché i
monaci sono veramente tali, quando vivono del lavoro delle proprie mani come i
nostri padri e gli Apostoli.
9. Tutto però
si svolga con discrezione, in considerazione dei più deboli.
10. Dal 14
settembre, poi, fino al principio della Quaresima, si applichino allo studio
fino alle 9,
11. quando
celebreranno l'ora di Terza, dopo la quale tutti saranno impegnati nei
rispettivi lavori fino a Nona, e cioè alle 14.
12. Al primo
segnale di Nona, ciascuno interrompa il proprio lavoro per essere pronto al
suono del secondo segnale.
13. Dopo il
pranzo si dedichino alla lettura personale o allo studio dei salmi.
14. Durante la
Quaresima leggano dall'alba fino alle 9 inoltrate e poi lavorino in conformità
agli ordini ricevuti fino verso le 4 pomeridiane.
15. In quei
giorni di Quaresima ciascuno riceva un libro dalla biblioteca e lo legga
ordinatamente da cima a fondo.
16. I suddetti
libri devono essere distribuiti all'inizio della Quaresima.
17. E per prima
cosa bisognerà incaricare uno o due monaci anziani di fare il giro del monastero
nelle ore in cui i fratelli sono occupati nello studio,
18. per vedere
se per caso ci sia qualche monaco indolente, che, invece di dedicarsi allo
studio, perda, tempo oziando e chiacchierando e quindi, oltre a essere
improduttivo per sé, distragga anche gli altri.
19. Se si
trovasse - non sia mai! - un fratello che si comporta in questo modo, sia
rimproverato una prima e una seconda volta,
20. ma se non
si corregge, gli si infligga una punizione prevista dalla Regola, in modo da
incutere anche negli altri un salutare timore.
21. Non è
neppure permesso che un monaco si trovi con un altro fuori del tempo stabilito.
22. Anche alla
domenica si dedichino tutti allo studio della parola di Dio, a eccezione di
quelli destinati ai vari servizi.
23. Ma se ci
fosse qualcuno tanto negligente e fannullone da non volere o poter studiare o
leggere, gli si dia qualche lavoro da fare, perché non rimanga in ozio.
24. Infine ai
monaci infermi o cagionevoli si assegni un lavoro o un'attività che non li lasci
nell'inazione e nello stesso tempo non li sfinisca per l'eccessiva fatica,
spingendoli ad andarsene,
25. poiché
l'abate ha il dovere di tener conto della loro debolezza.
Capitolo XLIX -
La quaresima dei monaci
1. Anche se è
vero che la vita del monaco deve avere sempre un carattere quaresimale,
2. visto che
questa virtù è soltanto di pochi, insistiamo particolarmente perché almeno
durante la Quaresima ognuno vigili con gran fervore sulla purezza della propria
vita,
3. profittando
di quei santi giorni per cancellare tutte le negligenze degli altri periodi
dell'anno.
4. E questo si
realizza degnamente, astenendosi da ogni peccato e dedicandosi con impegno alla
preghiera accompagnata da lacrime di pentimento, allo studio della parola di
Dio, alla compunzione del cuore e al digiuno.
5. Perciò
durante la Quaresima aggiungiamo un supplemento al dovere ordinario del nostro
servizio, come, per es., preghiere particolari, astinenza nel mangiare o nel
bere,
6. in modo che
ognuno di noi possa di propria iniziativa offrire a Dio "con la gioia dello
Spirito Santo" qualche cosa di più di quanto deve già per la sua professione
monastica;
7. si privi
cioè di un po' di cibo, di vino o di sonno, mortifichi la propria inclinazione
alle chiacchiere e allo scherzo e attenda la santa Pasqua con l'animo fremente
di gioioso desiderio.
8. Ma anche ciò
che ciascuno vuole offrire personalmente a Dio dev'essere prima sottoposto
umilmente all'abate e poi compiuto con la sua benedizione e approvazione,
9. perché tutto
quello che si fa senza il permesso dell'abate sarà considerato come presunzione
e vanità, anziché come merito.
10. Perciò si
deve far tutto con l'autorizzazione dell'abate.
Capitolo L - I
monaci che lavorano lontano o sono in viaggio
1. I fratelli,
che lavorano molto lontano e non possono essere presenti in coro nell'ora
fissata per l'Ufficio divino,
2. se
l'impossibilità in cui si trovano è stata effettivamente accettata dall'abate,
3. recitino
pure l'Ufficio divino sul posto di lavoro, mettendosi in ginocchio per la
reverenza dovuta a Dio.
4. Così pure
quelli, che sono mandati in viaggio, non lascino passare le ore stabilite per
l'Ufficio, ma lo recitino come meglio possono e non trascurino l'adempimento del
dovere inerente al loro sacro servizio.
Capitolo LI - I
monaci che si recano nelle vicinanze
1. Il monaco,
che viene mandato fuori per qualche commissione e conta di tornare in monastero
nella stessa giornata, non si permetta di mangiare fuori, anche se viene pregato
con insistenza da qualsiasi persona,
2. a meno che
l'abate non gliene abbia dato il permesso.
3. Se
contravverrà a questa prescrizione, sarà scomunicato.
Capitolo LII -
La chiesa del monastero
1. La chiesa
sia quello che dice il suo nome, quindi in essa non si faccia né si riponga
altro.
2. Alla fine
dell'Ufficio divino escano tutti in perfetto silenzio e con grande rispetto per
Dio,
3. in modo che,
se un monaco volesse rimanere a pregare. privatamente, non sia impedito
dall'indiscrezione altrui.
4. Se, però,
anche in un altro momento qualcuno desidera pregare per proprio conto, entri
senz'altro e preghi, non a voce alta, ma con lacrime e intimo ardore.
5. Perciò, come
abbiamo detto, chi non intende dedicarsi all'orazione si guardi bene dal
trattenersi in chiesa dopo la celebrazione del divino Ufficio, per evitare che
altri siano disturbati dalla sua presenza.
Capitolo LIII -
L'accoglienza degli ospiti
1. Tutti gli
ospiti che giungono in monastero siano ricevuti come Cristo, poiché un giorno
egli dirà: "Sono stato ospite e mi avete accolto"
2. e a tutti si
renda il debito onore, ma in modo particolare ai nostri confratelli e ai
pellegrini.
3. Quindi,
appena viene annunciato l'arrivo di un ospite, il superiore e i monaci gli
vadano incontro, manifestandogli in tutti i modi il loro amore;
4. per prima
cosa preghino insieme e poi entrino in comunione con lui, scambiandosi la pace.
5. Questo bacio
di pace non dev'essere offerto prima della preghiera per evitare le illusioni
diaboliche.
6. Nel saluto
medesimo si dimostri già una profonda umiltà verso gli ospiti in arrivo o in
partenza,
7. adorando in
loro, con il capo chino o il corpo prostrato a terra, lo stesso Cristo, che così
viene accolto nella comunità.
8. Dopo questo
primo ricevimento, gli ospiti siano condotti a pregare e poi il superiore o un
monaco da lui designato si siedano insieme con loro.
9. Si legga
all'ospite un passo della sacra Scrittura, per sua edificazione, e poi gli si
usino tutte le attenzioni che può ispirare un fraterno e rispettoso senso di
umanità.
10. Se non è
uno dei giorni in cui il digiuno non può essere violato, il superiore rompa pure
il suo digiuno per far compagnia all'ospite,
11. mentre i
fratelli continuino a digiunare come al solito.
12. L'abate
versi personalmente l'acqua sulle mani degli ospiti per la consueta lavanda;
13. lui stesso,
poi, e tutta la comunità lavino i piedi a ciascuno degli ospiti
14. e al
termine di questo fraterno servizio dicano il versetto: "Abbiamo ricevuto la tua
misericordia, o Dio, nel mezzo del tuo Tempio".
15.
Specialmente i poveri e i pellegrini siano accolti con tutto il riguardo e la
premura possibile, perché è proprio in loro che si riceve Cristo in modo tutto
particolare e, d'altra parte, l'imponenza dei ricchi incute rispetto già di per
sé.
16. La cucina
dell'abate e degli ospiti sia a parte, per evitare che i monaci siano disturbati
dall'arrivo improvviso degli ospiti, che non mancano mai in monastero.
17. Il servizio
di questa cucina sia affidato annualmente a due fratelli, che sappiano svolgerlo
come si deve.
18. A costoro
si diano anche degli aiuti, se ce n'è bisogno, perché servano senza mormorare,
ma, a loro volta, quando hanno meno da fare, vadano a lavorare dove li manda
l'obbedienza.
19. E non solo
in questo caso, ma nei confronti di tutti i fratelli impegnati in qualche
particolare servizio del monastero, si segua un tale principio
20. e cioè che,
se occorre, si concedano loro degli aiuti, mentre, una volta terminato il
proprio lavoro, essi devono tenersi disponibili per qualsiasi ordine.
21. Così pure
la foresteria, ossia il locale destinato agli ospiti, sia affidata a un monaco
pieno di timor di Dio:
22. in essa ci
siano dei letti forniti di tutto il necessario e la casa di Dio sia governata
con saggezza da persone sagge.
23. Nessuno,
poi, a meno che ne abbia ricevuto l'incarico, prenda contatto o si intrattenga
con gli ospiti,
24. ma se
qualcuno li incontra o li vede, dopo averli salutati umilmente come abbiamo
detto e aver chiesta la benedizione, passi oltre, dichiarando di non avere il
permesso di parlare con gli ospiti.
Capitolo LIV -
La distribuzione delle lettere e dei regali destinati ai singoli monaci
1. Senza il
consenso dell'abate nessun monaco può ricevere dai suoi parenti o da qualunque
altra persona lettere, oggetti di devozione o altri piccoli regali e neanche
farne a sua volta o scambiarli con i confratelli.
2. E anche se i
parenti gli mandassero qualche dono, non si permetta di accettarlo, senza averne
prima informato l'abate.
3. Ma questi,
anche nel caso che dia il suo consenso per ricevere il dono, può sempre
assegnarlo a chi vuole
4. e il monaco
a cui era destinato non deve farsi di questo un motivo di afflizione, per non
dare occasione al diavolo.
5. Se poi
qualcuno si provasse a comportarsi diversamente, sia sottoposto ai castighi
dalla Regola.
Capitolo LV -
Gli abiti e le calzature dei monaci
1. Bisogna dare
ai monaci degli abiti adatti alle condizioni e al clima della località in cui
abitano,
2. perché nelle
zone fredde si ha maggiore necessità di coprirsi e in quelle calde di meno:
3. il giudizio
al riguardo è di competenza dell'abate.
4. Comunque
riteniamo che nei climi temperati bastino per ciascun monaco una tonaca e una
cocolla,
5. quest'ultima
di lana pesante per l'inverno e leggera o lisa per l'estate;
6. inoltre lo
scapolare per il lavoro e come calzature, scarpe e calze.
7. Quanto al
colore e alla qualità di tutti questi indumenti, i monaci non devono attribuirvi
eccessiva importanza, accontentandosi di quello che si può trovare sul posto ed
è più a buon mercato.
8. L'abate però
stia attento alla misura degli abiti, in modo che non siano troppo corti, ma
della taglia di chi li indossa.
9. I monaci che
ricevono gli indumenti nuovi, restituiscano i vecchi, che devono essere riposti
nel guardaroba per poi distribuirli ai poveri.
10. Infatti a
ogni monaco bastano due cocolle e due tonache per potersi cambiare la notte e
per lavarle;
11. il di più è
superfluo e deve essere eliminato.
12. Anche le
calze e qualsiasi altro oggetto usato deve essere restituito, quando ne viene
assegnato uno nuovo.
13. I monaci,
che sono mandati in viaggio, ricevano dal guardaroba gli indumenti occorrenti,
che restituiranno poi lavati al ritorno.
14. Anche le
cocolle e le tonache per il viaggio siano un po' migliori di quelle portate
usualmente; gli interessati le prendano in consegna dal guardaroba, quando
partono, e le restituiscano al ritorno.
15. Per la
fornitura dei letti poi bastino un pagliericcio, una coperta di grossa tela, un
coltrone e un cuscino di paglia o di crine.
16. I letti,
però, devono essere frequentemente ispezionati dall'abate, per vedere se non ci
sia nascosta qualche piccola proprietà personale.
17. E se si
scoprisse qualcuno in possesso di un oggetto che non ha ricevuto dall'abate, sia
sottoposto a una gravissima punizione.
18. Ma, per
strappare fin dalle radici questo vizio della proprietà, l'abate distribuisca
tutto il necessario
19. e cioè:
cocolla, tonaca, calze, scarpe, cintura, coltello, ago, fazzoletti e il
necessario per scrivere, in modo da togliere ogni pretesto di bisogno.
20. In questo,
però, deve sempre tener presente quanto è detto negli Atti degli Apostoli e cioè
che "Si dava a ciascuno secondo le sue necessità".
21. Quindi
prenda in considerazione le particolari esigenze dei più deboli, anziché la
malevolenza degli invidiosi.
22. Comunque,
in tutte le sue decisioni si ricordi del giudizio di Dio.
Capitolo LVI -
La mensa dell'abate
1. L'abate
mangi sempre in compagnia degli ospiti e dei pellegrini.
2. Ma quando
gli ospiti sono pochi, può chiamare alla sua mensa i monaci che vuole.
3. Sarà bene
tuttavia lasciare uno o due monaci anziani con la comunità per il mantenimento
della disciplina.
Capitolo LVII -
I monaci che praticano un'arte o un mestiere
1. Se in
monastero ci sono dei fratelli esperti in un'arte o in un mestiere, li
esercitino con la massima umiltà, purché l'abate lo permetta.
2. Ma se
qualcuno di loro monta in superbia, perché gli sembra di portare qualche utile
al monastero,
3. sia tolto
dal suo lavoro e non gli sia più concesso di occuparsene, a meno che rientri in
se stesso, umiliandosi, e l'abate non glielo permetta di nuovo.
4. Se poi si
deve vendere qualche prodotto del lavoro di questi monaci, coloro, che sono
stati incaricati di trattare l'affare, si guardino bene da qualsiasi disonestà.
5. Si ricordino
sempre di Anania e Safira, per non correre il rischio che la morte, subita da
quelli nel corpo,
6. colpisca le
anime loro e di tutte le persone, che hanno comunque defraudato le sostanze del
monastero.
7. Però nei
prezzi dei suddetti prodotti non deve mai insinuarsi l'avarizia,
8. ma bisogna
sempre venderli un po' più a buon mercato dei secolari
9. "affinché in
ogni cosa sia glorificato Dio".
Capitolo LVIII
- Norme per l'accettazione dei fratelli
1. Quando si
presenta un aspirante alla vita monastica, non bisogna accettarlo con troppa
facilità,
2. ma, come
dice l'Apostolo: "Provate gli spiriti per vedere se vengono da Dio".
3. Quindi, se
insiste per entrare e per tre o quattro giorni dimostra di saper sopportare con
pazienza i rifiuti poco lusinghieri e tutte le altre difficoltà opposte al suo
ingresso, perseverando nella sua richiesta,
4. sia pure
accolto e ospitato per qualche giorno nella foresteria.
5. Ma poi si
trasferisca nel locale destinato ai novizi, perché vi ricevano la loro
formazione, vi mangino e vi dormano.
6. Ad essi
venga inoltre preposto un monaco anziano, capace di conquistare le anime, con
l'incarico di osservarli molto attentamente.
7. In primo
luogo bisogna accertarsi se il novizio cerca veramente Dio, se ama l'Ufficio
divino, l'obbedienza e persino le inevitabili contrarietà della vita comune.
8. Gli si
prospetti tutta la durezza e l'asperità del cammino che conduce a Dio.
9. Se darà
sicure prove di voler perseverare nella sua stabilità, dopo due mesi gli si
legga per intero questa Regola
10. e gli si
dica: "Ecco la legge sotto la quale vuoi militare; se ti senti di poterla
osservare, entra; altrimenti, va' pure via liberamente".
11. Se
persisterà ancora nel suo proposito, sia ricondotto nel suddetto locale dei
novizi e si metta la sua pazienza alla prova in tutti i modi possibili.
12. Passati sei
mesi, gli si legga di nuovo la Regola, perché prenda coscienza dell'impegno che
sta per assumersi.
13. E se
continua a perseverare, dopo altri quattro mesi, gli si legga ancora una volta
la stessa Regola.
14. Se allora,
dopo aver seriamente riflettuto, prometterà di essere fedele in tutto e di
obbedire a ogni comando, sia pure accolto nella comunità,
15. ma sappia
che anche l'autorità della Regola gli vieta da quel giorno di uscire dal
monastero
16. e di
sottrarsi al giogo della disciplina monastica che, in una così prolungata
deliberazione, ha avuto la possibilità di accettare o rifiutare liberamente.
17. Al momento
dell'ammissione faccia in coro, davanti a tutta la comunità, solenne promessa di
stabilità, conversione continua e obbedienza,
18. al cospetto
di Dio e di tutti i suoi santi, in modo da essere pienamente consapevole che, se
un giorno dovesse comportarsi diversamente, sarà condannato da Colui del quale
si fa giuoco.
19. Di tale
promessa stenda un documento sotto forma di domanda, rivolta ai Santi, le cui
reliquie sono conservate nella chiesa, e all'abate presente.
20. Scriva di
suo pugno il suddetto documento o, se non è capace, lo faccia scrivere da un
altro, dietro sua esplicita richiesta, e lo firmi con un segno, deponendolo poi
sull'altare con le proprie mani.
21. Una volta
depositato il documento sull'altare, il novizio intoni subito il versetto:
"Accoglimi, Signore, secondo la tua promessa e vivrò; e non deludermi nella mia
speranza".
22. Tutta la
comunità ripeta per tre volte lo stesso versetto, aggiungendovi alla fine il
Gloria.
23. Poi il
novizio si prostri ai piedi di ciascuno dei fratelli per chiedergli di pregare
per lui e da quel giorno sia considerato come un membro della comunità.
24. Se possiede
dei beni materiali, li distribuisca in precedenza ai poveri o li doni al
monastero con un atto ufficiale senza riservare per sé la minima proprietà,
25. ben sapendo
che da quel giorno in poi non sarà più padrone neanche del proprio corpo.
26. Quindi,
subito dopo, sia spogliato in coro delle vesti che indossa e rivestito
dell'abito monastico.
27. Ma gli
indumenti di cui si è spogliato devono essere conservati nel guardaroba,
28. in modo
che, se in seguito dovesse - Dio non voglia!- cedere alla suggestione diabolica
e lasciare il monastero, sia mandato via senza l'abito monastico.
29. Non gli si
restituisca invece la domanda che l'abate ha ritirato dall'altare, ma sia
conservata in monastero.
Capitolo LIX -
I piccoli oblati
1. Se qualche
persona facoltosa volesse offrire il proprio figlio a Dio nel monastero e il
ragazzo è ancora piccino, i genitori stendano la domanda di cui abbiamo parlato
nel capitolo precedente
2. e
l'avvolgano nella tovaglia dell'altare insieme con l'oblazione della Messa e la
mano del bimbo, offrendolo in questo modo.
3. Per quanto
riguarda poi i loro beni, o nella domanda suddetta promettano di non dargli mai
nulla, né direttamente né per interposta persona, né in qualsiasi altro modo, e
neanche di dargli mai l'occasione di procurarsi qualche sostanza,
4. oppure, se
non intendono regolarsi secondo questa prassi e desiderano offrire qualche cosa
al monastero per la salute dell'anima loro,
5. facciano
donazione dei beni che vogliono regalare al monastero, riservandosene, se
credono, l'usufrutto.
6. Così si
precludano tutte le vie, in modo da non lasciare al ragazzo alcun miraggio da
cui possa esser tratto in inganno e - Dio non voglia! - in perdizione, come ci
ha insegnato l'esperienza.
7. La stessa
procedura seguano anche i meno abbienti.
8. Quanto a
coloro che non possiedono proprio nulla, facciano semplicemente la domanda e
offrano il loro figlioletto con l'oblazione della Messa, alla presenza di
testimoni.
Capitolo LX - I
sacerdoti aspiranti alla vita monastica
1. Se qualche
sacerdote chiede di essere ammesso nel monastero, non bisogna affrettarsi troppo
ad accogliere la sua richiesta.
2. Ma se
continua a insistere in questa preghiera, sappia che dovrà osservare tutta la
disciplina della Regola,
3. senza la
minima attenuazione, in modo che gli si possa dire con la Scrittura: "Amico, che
sei venuto a fare?".
4. Gli si
conceda tuttavia di prender posto dopo l'abate, di dare la benedizione e di
recitare le preci finali, purché l'abate disponga così;
5. altrimenti
non pretenda assolutamente nulla, anzi sia per tutti un esempio di umiltà, ben
sapendo di essere soggetto alla disciplina della Regola.
6. E se per
caso nella comunità si dovesse trattare dell'assegnazione delle cariche o di
qualche altro affare,
7. occupi il
posto che gli spetta corrispondentemente al suo ingresso in monastero e non
quello che gli è stato concesso in considerazione della sua dignità sacerdotale.
8. Se poi
qualche chierico, spinto dallo stesso desiderio, volesse essere aggregato alla
comunità, sia assegnato a un posto di un certo riguardo,
9. ma sempre a
condizione che prometta anche lui l'osservanza della Regola e la propria
stabilità.
Capitolo LXI -
L'accoglienza dei monaci forestieri
1. Se un monaco
forestiero, giunto di lontano, vuole abitare nel monastero in qualità di ospite
2. e si
dimostra soddisfatto delle consuetudini locali,
3.
accontentandosi con semplicità di quello che trova, senza disturbare la comunità
con le sue pretese, sia accolto per tutto il tempo che desidera.
4. Nel caso poi
che egli rilevi qualche inconveniente o dia qualche suggerimento, l'abate si
chieda se il Signore non lo abbia mandato proprio per questo.
5. E se in
seguito vorrà fissare la sua stabilità nel monastero, non si opponga un rifiuto
a questa sua richiesta, tanto più che durante la sua permanenza si è avuto modo
di studiarne il comportamento.
6. Se però,
quando era ospite si è dimostrato pieno di pretese e di difetti, non solo non
dev'essere aggregato alla comunità,
7. ma bisogna
dirgli garbatamente di andarsene per evitare che le sue miserie contagino anche
gli altri.
8. Invece, se
non merita di essere allontanato, non sia accolto e incorporato nella comunità
solo nel caso che ne faccia domanda,
9. ma sia
addirittura invitato a rimanere, perché gli altri possano trarre profitto dal
suo esempio
10. e perché
dappertutto si serve il medesimo Signore e si milita sotto lo stesso Re.
11. Anzi, se
l'abate lo ritiene degno, può anche assegnargli un posto un po' elevato.
12. E non
solamente un monaco, ma anche coloro che appartengono all'ordine sacerdotale o
al chiericato, l'abate può destinare a un posto superiore a quello
corrispondente al loro ingresso in monastero, se ha notato che la condotta lo
merita.
13. Si guardi
però sempre dall'ammettere stabilmente nella sua comunità un monaco proveniente
da un monastero conosciuto, senza il consenso e le lettere commendatizie del suo
abate,
14. perché sta
scritto: "Non fare agli altri quello che non vuoi che sia fatto a te".
Capitolo LXII -
I sacerdoti del monastero
1. Se un abate
desidera che uno dei suoi monaci sia ordinato sacerdote o diacono per il
servizio della comunità scelga in essa un fratello degno di esercitare tali
funzioni.
2. Ma il monaco
ordinato si guardi dalla vanità e dalla superbia
3. e non creda
di poter fare altro che quello che gli ordina l'abate, tenendo sempre presente
che d'ora in poi dovrà essere maggiormente sottomesso alla disciplina.
4. Né col
pretesto del sacerdozio trascuri l'obbedienza alla Regola o la disciplina, ma
anzi progredisca sempre più nelle vie di Dio.
5. Conservi
sempre il posto che gli spetta in corrispondenza del suo ingresso in monastero,
6. tranne che
per il ministero dell'altare, oppure nel caso che la scelta della comunità o la
volontà dell'abate l'abbiano promosso in considerazione della sua vita
esemplare.
7. Sappia però
che deve osservare la disciplina prestabilita per i decani e i superiori.
8. Se avrà la
presunzione di agire diversamente, non sia più trattato come un sacerdote, ma
come un ribelle.
9. E
nell'eventualità che, dopo essere stato ammonito non si correggesse, si chiami a
testimonio anche il vescovo.
10. Ma se
neanche allora si emendasse e le sue colpe diventassero sempre più evidenti, sia
espulso dal monastero,
11. purché però
sia stato così ostinato da non volersi sottomettere e obbedire alla Regola.
Capitolo LXIII
- L'ordine della comunità
1. Nella
comunità ognuno conservi il posto che gli spetta secondo la data del suo
ingresso o l'esemplarità della sua condotta o la volontà dell'abate.
2. Bisogna però
che quest'ultimo non metta lo scompiglio nel gregge che gli è stato affidato,
prendendo delle disposizioni ingiuste come se esercitasse un potere assoluto,
3. ma pensi
sempre che dovrà rendere conto a Dio di tutte le sue decisioni e azioni.
4. Dunque i
monaci si succedano nel bacio di pace e nella comunione, nell'intonare i salmi e
nei posti in coro, secondo l'ordine stabilito dall'abate o a essi spettante.
5. E in nessuna
occasione l'età costituisca un criterio distintivo o pregiudizievole per
stabilire i posti,
6. perché
Samuele e Daniele, quando erano ancora fanciulli, giudicarono gli anziani.
7. Quindi, a
eccezione di quelli che, come abbiamo già detto, l'abate avrà promosso per
ragioni superiori o degradato per motivi fondati, tutti gli altri occupino
sempre i posti determinati dalla data del rispettivo ingresso,
8. in modo che
il monaco, arrivato - per esempio - in monastero alle 9, sappia di essere più
giovane di quello arrivato alle 8, quale che sia la sua età e dignità.
9. Per quanto
riguarda i ragazzi, invece, si osservi in tutto e per tutto la relativa
disciplina.
10. I più
giovani, dunque, trattino con riguardo i più anziani, che a loro volta li
ricambino con amore.
11. Anche
quando si chiamano tra loro, nessuno si permetta di rivolgersi all'altro con il
solo nome,
12. ma gli
anziani diano ai giovani l'appellativo di "fratello" e i giovani usino per gli
anziani quello di "reverendo padre", come espressione del loro rispetto filiale.
13. L'abate poi
sia chiamato "signore" e "abate", non perché si sia arrogato da sé un tale
titolo, ma in onore e per amore di Cristo del quale sappiamo per fede che egli
fa le veci.
14. Da parte
sua, però, rifletta sull'onore che gli viene tributato e se ne dimostri degno.
15. Dovunque i
fratelli si incontrano, il più giovane chieda la benedizione al più anziano;
16. quando
passa un monaco anziano, il più giovane si alzi e gli ceda il posto, guardandosi
bene dal rimettersi a sedere prima che l'anziano glielo permetta,
17. in modo che
si realizzi quanto è scritto: "Prevenitevi a vicenda nel rendervi onore".
18. I ragazzi
più piccoli e i giovanetti occupino in coro e in refettorio i posti loro
spettanti secondo la Regola:
19. ma fuori di
lì siano sorvegliati e tenuti dappertutto sotto la disciplina, finché non
avranno raggiunto un età più matura.
Capitolo LXIV -
L'elezione dell'abate
1.
Nell'elezione dell'abate bisogna seguire il principio di scegliere il monaco che
tutta la comunità ha designato concordemente nel timore di Dio, oppure quello
prescelto con un criterio più saggio da una parte sia pur piccola di essa.
2. Il futuro
abate dev'essere scelto in base alla vita esemplare e alla scienza
soprannaturale, anche se fosse l'ultimo della comunità.
3. Se invece, -
non sia mai! - la comunità eleggesse, sia pure di comune accordo, una persona
consenziente ai suoi abusi,
4. e il vescovo
della diocesi o gli abati o i fedeli delle vicinanze ne venissero comunque a
conoscenza
5. devono
impedire in tutti i modi che il complotto di quegli sciagurati abbia il
sopravvento e nominare un degno ministro della casa di Dio,
6. ben sapendo
che ne riceveranno una grande ricompensa, mentre invece sarebbero colpevoli, se
non se ne curassero.
7. Il nuovo
eletto, poi, pensi sempre al carico che si è addossato e a chi dovrà rendere
conto del suo governo
8. e sia
consapevole che il suo dovere è di aiutare, piuttosto che di comandare.
9. Bisogna
quindi che sia esperto nella legge di Dio per possedere la conoscenza e la
materia da cui trarre "cose nuove e antiche", intemerato, sobrio, comprensivo
10. e faccia
"trionfare la misericordia sulla giustizia", in modo da meritare un giorno lo
stesso trattamento per sé.
11. Detesti i
vizi, ma ami i suoi monaci.
12. Nelle
stesse correzioni agisca con prudenza per evitare che, volendo raschiare troppo
la ruggine, si rompa il vaso:
13. diffidi
sempre della propria fragilità e si ricordi che "non bisogna spezzare la canna
già incrinata".
14. Con questo
non intendiamo che l'abate debba permettere ai difetti di allignare, ma che li
sradichi - come abbiamo già detto - con prudenza e carità, nel modo che gli
sembrerà più conveniente per ciascuno,
15. e cerchi di
essere più amato che temuto.
16. Non sia
turbolento e ansioso, né esagerato e ostinato, né invidioso e sospettoso, perché
così non avrebbe mai pace;
17. negli
stessi ordini sia previdente e riflessivo e, tanto se il suo comando riguarda il
campo spirituale, quanto se si riferisce a un interesse temporale, proceda con
discernimento e moderazione,
18. tenendo
presente la discrezione del santo patriarca Giacobbe, che diceva: "Se
affaticherò troppo i miei greggi, moriranno tutti in un giorno".
19. Seguendo
questo e altri esempi di quella discrezione che è la madre di tutte le virtù,
disponga ogni cosa in modo da stimolare le generose aspirazioni dei forti, senza
scoraggiare i deboli.
20. E
soprattutto osservi e faccia osservare integramente la presente Regola
21. per potersi
sentir dire dal Signore, al termine della sua onesta gestione, le parole udite
dal servo fedele, che a tempo debito distribuì il frumento ai suoi compagni:
22. "In verità
vi dico: - dichiara Gesù - gli diede potere su tutti i suoi beni".
Capitolo LXV -
Il priore del monastero
1. Accade
spesso che la nomina del priore dia origine a gravi scandali,
2. perché
alcuni, gonfiati da un maligno spirito di superbia e convinti di essere
altrettanti abati, si attribuiscono indebitamente un potere assoluto, fomentando
litigi, creando divisioni nelle comunità,
3. specialmente
in quei monasteri nei quali il priore viene nominato dallo stesso vescovo o
dagli stessi abati a cui spetta l'elezione dell'abate.
4. E' facile
rendersi conto dell'assurdità di una simile procedura, con cui si dà motivo al
priore di insuperbirsi fin dal primo momento della sua nomina,
5. perché la
considerazione di questo stato di cose può insinuare in lui l'idea di non essere
più soggetto all'autorità dell'abate.
6. "Tu pure -
dirà a se stesso - sei stato nominato da quelli che hanno eletto l'abate".
7. Di qui
nascono invidie, liti, maldicenze, rivalità, divisioni e disordini di ogni
genere,
8. per cui,
mentre l'abate e il priore sono in disaccordo, le loro anime vengono
necessariamente a trovarsi in pericolo a motivo di questo contrasto
9. e i loro
sudditi, parteggiando per l'uno o per l'altro, vanno in perdizione.
10. La
responsabilità di questa perniciosa situazione ricade principalmente sugli
autori di tanto disordine.
11. Quindi, per
la tutela della pace e della carità ci è sembrato necessario far dipendere
l'ordinamento del monastero unicamente dalla volontà del suo abate.
12. E, se è
possibile, tutte le attività del monastero siano regolate - come abbiamo già
stabilito in precedenza - per mezzo di decani, secondo quanto disporrà l'abate,
13. in modo
che, ripartendo l'autorità fra varie persone, non si dia motivo a uno solo di
insuperbirsi.
14. Ma se le
condizioni locali lo esigono o la comunità lo chiede umilmente e con ragioni
fondate e l'abate lo giudica opportuno,
15. nomini egli
stesso priore quel monaco che avrà scelto con il consiglio di fratelli timorati
di Dio.
16. Il priore,
da parte sua, esegua con reverenza gli ordini del suo abate e non faccia nulla
contro la volontà o le disposizioni di lui,
17. perché
quanto più è stato elevato al di sopra degli altri, tanto maggior impegno deve
dimostrare nell'osservanza delle prescrizioni della Regola.
18. Se poi
questo priore si rivelerà pieno di difetti o, lusingato dalla vanità, monterà in
superbia o darà prova manifesta di disprezzare la santa Regola, sia ammonito a
voce per quattro volte,
19. ma, nel
caso che non si corregga, si prenda nei suoi confronti il provvedimento
disciplinare previsto dalla Regola.
20. Se neppure
così si ravvederà, sia deposto dalla carica di priore e sostituito da un altro
che ne sia degno.
21. E se in
seguito non intenderà starsene quieto e sottomesso in comunità, sia addirittura
espulso dal monastero.
22. Ma l'abate,
da parte sua, si ricordi sempre che un giorno dovrà rendere conto a Dio di tutte
le sue decisioni, per evitare che la fiamma dell'invidia e della gelosia gli
divori l'anima.
Capitolo LXVI -
I portinai del monastero
1. Alla porta
del monastero sia destinato un monaco anziano e assennato, che sappia ricevere e
riportare le commissioni e sia abbastanza maturo da non disperdersi, andando in
giro a destra e a sinistra.
2. Questo
portinaio deve avere la sua residenza presso la porta, in modo che le persone
che arrivano trovino sempre un monaco pronto a rispondere.
3. Quindi,
appena qualcuno bussa o un povero chiede la carità, risponda: "Deo gratias!"
Oppure: "Benedicite!"
4. e con tutta
la delicatezza che ispira il timor di Dio venga incontro alle richieste del
nuovo arrivato, dimostrando una grande premura e un'ardente carità.
5. Lo stesso
portinaio, se ha bisogno di aiuto, sia coadiuvato da un fratello più giovane.
6. Il
monastero, poi, dev'essere possibilmente organizzato in modo che al suo interno
si trovi tutto l'occorrente, ossia l'acqua, il mulino, l'orto e i vari
laboratori,
7. per togliere
ai monaci ogni necessità di girellare fuori, il che non giova affatto alle loro
anime.
8. Infine
vogliamo che questa Regola sia letta spesso in comunità, perché nessuno possa
giustificarsi con il pretesto dell'ignoranza.
Capitolo LXVII
- I monaci mandati in viaggio
1. I monaci,
che sono mandati in viaggio, si raccomandino alle preghiere di tutti i
confratelli e dell'abate;
2. e
nell'orazione conclusiva dell'Ufficio divino si ricordino sempre tutti gli
assenti.
3. Quelli, poi,
che rientrano, nel giorno stesso del loro ritorno si prostrino in coro al
termine di tutte le Ore canoniche,
4. implorando
dalla comunità una preghiera per riparare le mancanze eventualmente commesse
durante il viaggio, guardando o ascoltando qualcosa di male o perdendosi in
chiacchiere.
5. E nessuno si
permetta di riferire ad altri quello che ha visto o udito fuori del monastero,
perché questo sarebbe veramente rovinoso.
6. Se poi
qualcuno si provasse a farlo, sia sottoposto al castigo previsto dalla Regola.
7. Allo stesso
modo sia punito chi osasse oltrepassare i confini del monastero o andare in
qualunque luogo o fare qualsiasi cosa, sia pur minima, senza il consenso
dell'abate.
Capitolo LXVIII
- Le obbedienze impossibili
1. Anche se a
un monaco viene imposta un'obbedienza molto gravosa, o addirittura impossibile a
eseguirsi, il comando del superiore dev'essere accolto da lui con assoluta
sottomissione e soprannaturale obbedienza.
2. Ma se
proprio si accorgesse che si tratta di un carico, il cui peso è decisamente
superiore alle sue forze, esponga al superiore i motivi della sua impossibilità
con molta calma e senso di opportunità,
3. senza
assumere un atteggiamento arrogante, riluttante o contestatore.
4. Se poi, dopo
questa schietta e umile dichiarazione, l'abate restasse fermo nella sua
convinzione, insistendo nel comando, il monaco sia pur certo che per lui è bene
così
5. e obbedisca
per amore di Dio, confidando nel Suo aiuto.
Capitolo LXIX -
Divieto di arrogarsi le difese dei confratelli
1. Bisogna
evitare in tutti i modi che per qualsiasi motivo un monaco si provi a difendere
un altro o ad assumerne in certo modo la protezione,
2. anche se ci
fosse tra loro un qualsiasi vincolo di parentela.
3. I monaci si
guardino assolutamente da un simile abuso, che può costituire una
pericolosissima occasione di disordini o di scandali.
4. Se qualcuno
trasgredisse queste norme, sia punito con la massima severità.
Capitolo LXX -
Divieto di arrogarsi la riprensione dei confratelli
1. Nel
monastero si deve sopprimere decisamente ogni occasione di arbitri e di soprusi;
2. perciò
dichiariamo che non è permesso ad alcuno di infliggere la scomunica o un castigo
corporale a un confratello, senza l'autorizzazione dell'abate.
3. I colpevoli
di tale trasgressione siano rimproverati alla presenza dell'intera comunità,
affinché anche gli altri ne abbiano timore.
4. I ragazzi,
però, rimangano fino a quindici anni sotto la disciplina e l'oculata vigilanza
di tutti,
5. ma sempre
con grande moderazione e buon senso.
6. Chi poi si
arrogasse una qualsiasi autorità sugli adulti, senza il comando dell'abate, o si
inquietasse irragionevolmente con i ragazzi, sia sottoposto alla punizione
prevista dalla Regola,
7. perché sta
scritto: "Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te".
Capitolo LXXI -
L'obbedienza fraterna
1. La virtù
dell'obbedienza non deve essere solo esercitata da tutti nei confronti
dell'abate, ma bisogna anche che i fratelli si obbediscano tra loro,
2. nella piena
consapevolezza che è proprio per questa via dell'obbedienza che andranno a Dio.
3. Dunque, dopo
aver dato l'assoluta precedenza al comando dell'abate o dei superiori da lui
designati, a cui non permettiamo che si preferiscano ordini privati,
4. per il resto
i più giovani obbediscano ai confratelli più anziani con la massima carità e
premura.
5. Se qualcuno
dà prova di un carattere litigioso sia debitamente corretto.
6. Se poi un
monaco viene comunque rimproverato dall'abate o da qualsiasi anziano per un
qualunque motivo
7. o si accorge
semplicemente che un anziano è sdegnato o anche leggermente alterato nei suoi
riguardi,
8. si
inginocchi subito dinanzi a lui, senza la minima esitazione, e rimanga così per
riparare, finché la benedizione dell'altro non sani quel lieve dissenso.
9. Se qualcuno
si rifiutasse altezzosamente di farlo, sia sottoposto a un castigo corporale e,
se si ostina in questo atteggiamento di ribellione, sia scacciato dal monastero.
Capitolo LXXII
- Il buon zelo dei monaci
1. Come c'è un
cattivo zelo, pieno di amarezza, che separa da Dio e porta all'inferno,
2. così ce n'è
uno buono, che allontana dal peccato e conduce a Dio e alla vita eterna.
3. Ed è proprio
in quest'ultimo che i monaci devono esercitarsi con la più ardente carità
4. e cioè: si
prevengano l'un l'altro nel rendersi onore;
5. sopportino
con grandissima pazienza le rispettive miserie fisiche e morali;
6. gareggino
nell'obbedirsi scambievolmente;
7. nessuno
cerchi il proprio vantaggio, ma piuttosto ciò che giudica utile per gli altri;
8. si portino a
vicenda un amore fraterno e scevro da ogni egoismo;
9. temano
filialmente Dio;
10. amino il
loro abate con sincera e umile carità;
11. non
antepongano assolutamente nulla a Cristo,
12. che ci
conduca tutti insieme alla vita eterna.
Capitolo LXXIII
- La modesta portata di questa regola
1. Abbiamo
abbozzato questa Regola con l'intenzione che, mediante la sua osservanza nei
nostri monasteri, riusciamo almeno a dar prova di possedere una certa
rettitudine di costumi e di essere ai primordi della vita monastica.
2. Del resto,
chi aspira alla pienezza di quella vita dispone degli insegnamenti dei santi
Padri, il cui adempimento conduce all'apice della perfezione.
3. C'è infatti
una pagina, anzi una parola, dell'antico o del nuovo Testamento, che non
costituisca una norma esattissima per la vita umana?.
4. O esiste
un'opera dei padri della Chiesa che non mostri chiaramente la via più rapida e
diretta per raggiungere l'unione con il nostro Creatore?
5. E le
Conferenze, le Istituzioni e le Vite dei Padri, come anche la Regola del nostro
santo padre Basilio,
6. che altro
sono per i monaci fervorosi e obbedienti se non mezzi per praticare la virtù?
7. Ma per noi,
svogliati, inosservanti e negligenti, ciò è motivo di vergogna e di confusione.
8. Chiunque tu
sia, dunque, che con sollecitudine e ardore ti dirigi verso la patria celeste,
metti in pratica con l'aiuto di Cristo questa modestissima Regola, abbozzata
come una semplice introduzione,
9. e con la
grazia di Dio giungerai finalmente a quelle più alte cime di scienza e di virtù,
di cui abbiamo parlato sopra. Amen.
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